VIA BENEDICTI
DIARIO DEL PELLEGRINAGGIO DI DON REMO RESCA
TIVOLI - MONTECASSINO (km 170)
30 AGOSTO-7 SETTEMBRE 2010
Due anni fa, la signora Giuliana Marinelli portò in canonica una rivista, dicendo: "Qui c'è il Cammino di San Benedetto ... penso la interessi" . Indicava un percorso diviso in due parti: da Norcia fino a Roma e da Roma a Montecassino. I luoghi di san Benedetto sono tutti molto vicini, dunque ancora una volta è possibile il miracolo: il Cammino come via di conoscenza e scoperta di un universo, il grande Santo Patrono d'Europa. Scelgo la parte seconda, le cui tappe maggiori sono: Roma, Subiaco, Trisulti, Casamari, Montecassino.
Questo anno mi muove una particolare attenzione a quanto riguarda la educazione e formazione dell'anima e della comunità: chi più di San Benedetto può essere maestro? Preparazione con lettura di libri, della Regola; ma ora si tratta di entrarci dentro col metodo più efficace di tutti: attraverso i piedi. Parto da solo, ma il mondo intero è con me.
PIUMAZZO - ROMA - TIVOLI - CICILIANO ( a piedi km 17)
30 Agosto 2010 - lunedì - Andrei volentieri alla stazione di Castelfranco a piedi da Piumazzo, perchè "il vero pellegrinaggio comincia dall'uscio di casa", ma il buon senso consiglia di chiedere a Lorenza di portarmi là.
Soliti e cari abiti da pellegrino, non proprio belli, anzi un tantino ridicoli: pantaloni larghi, camicia e cappello da Indiana Jones, su un fisico non esattamente da aitante esploratore. Lungo la banchina di una stazione un sessantenne con lo zaino sulle spalle è abbastanza patetico. Non farebbe meraviglia su un sentiero dolomitico, ma siamo a Castelfranco Emilia: impossibile passare inosservati. Chino su me stesso, più per vergogna che raccoglimento, vedo una manina salutare: è Marina Ghedini, con Filippo, che va a lavorare. Tre giorni fa è partita la sorella Monica per Santiago e chiedo notizie. Pur iniziando anche io un pellegrinaggio, dico "... la invidio!". Santiago è sempre Santiago.
Amo gli avvicinamenti in treno: già si vive lo spirito del pellegrinaggio. E' facile lasciarsi andare a sentimenti, emozioni, pensieri, come pure concentrarsi su un testo, una preghiera o una scrittura. Nella tasca laterale dello zaino porto una piccola biblioteca: Salmi, Statuto CFD, libro delle Circolari, Regola di S. Benedetto, commento alla Regola di A. Grun, Letture del giorno, cartine. Più biro, taccuino e occhiali.
Alle 11,00 Da Roma Termini devo prendere la Metropolitana fino alla Tiburtina. Mi piace questo cercare la strada, orientarmi in un percorso, sbagliarmi, come sempre faccio nelle Metropolitane. Ma ho tempo davanti, il bello del pellegrinare è questa libertà dal tempo: essere puntuale, mantenere ritmo, ma senza l'ansia degli orari: è molto bello anche aspettare. Pellegrinare è vivere, e tutto, specialmente una attesa, può essere carica di senso. Alla Tiburtina cerco il treno per Vicovaro: uno sta partendo proprio in quel momento, ma arriva solo a Tivoli ... Decisione immediata e semplice: arrivare a Tivoli poi proseguire a piedi, per una strada che pare "tagli" verso la meta serale: Ciciliano. Vicovaro non mi sembra poi così importante nella vita di Benedetto; inoltre la zona sacra "le grotte degli eremiti " non sempre è visitabile e "pregabile".
Dopo avere attraversato la bella Tivoli, col simpatico ponte sul fiume, temendo in modo eccessivo il "calo di zuccheri" mi abbuffo incautamente in una pasticceria. Alla uscita della città, una preghiera piena di gratitudine e di intercessione davanti al monumentale cimitero, poi via di buon passo per la stretta antica strada, ricca di vestigia romane, specialmente archi di acquedotti e mura megalitiche. Il tratto è noioso e trafficatissimo; ma ho dalla mia l'entusiasmo e la carica del primo giorno, e proprio nulla mi turba e tutto mi rallegra.
Ciciliano è la prima graditissima sorpresa: un borgo laziale, erto e faticosissimo da raggiungere a piedi, ma incantevole nella armonia delle sue stradine, archi, chiese, piazze; pienamente abitato nel suo centro storico, caldo di vita vera e di un gusto semplice e raffinato per il bello: balconi fioriti, tinte, linee delle case e pulizia ovunque. Mi perdo nel dedalo delle viuzze, dimenticando quasi la meta: "Centro Oreb Madonna di Lourdes". Dopo la Messa, scendo verso la casa in cui mi aspettano e l'accoglienza è cordialissima: una doccia, una lauta cena e le sorelle si scusano di non potersi intrattenersi con me, avendo ospiti. Ma sono ben felice di andarmene subito a letto. Il panorama verso la montagna di fronte è armonioso: pieno di gratitudine chiudo le finestre sulle luci della Mentorella, meta della giornata di domani.
CICILIANO - MENTORELLA - CICILIANO ( km 10 - dislivello 650 m)
31 Agosto 2010 Martedì - Sveglio prima dell'alba, esco in terrazza a recitare l'ufficio accompagnato dal sorgere del sole. Durante la Messa con la comunità, sottolineo come sia lo Spirito Santo vero motore di ogni bene soprannaturale e umiltà-mitezza il modo migliore di corrispondervi. Le quattro sorelle ascoltano devote e composte: le "comunità Oreb" è stata fondata da Mons. Guglielmo Giacquinta, già vescovo di Tivoli, per promuovere la santità nelle anime. Ricevo in dono una immagine della Madonna della Fiducia e un fascicoletto di meditazioni. Alle 8,00 un cacciatore della zona, su invito delle sorelle, mi accompagna all'attacco del "sentiero dei pellegrini" da Pisoniano alla Mentorella. In una scassata Panda, dopo quattro chilometri di provinciale, per stradine sterrate e rocciose cominciamo a inerpicarci su per la montagna, a lungo e alzandoci di quota. A principio apprezzo l'aiuto, poi pian piano comincio a innervosirmi, vedendo dissolversi il piacere della salita. Dico al cacciatore: "Lei è già stato molto generoso, ma adesso preferisco proseguire a piedi". Ci rimane un pò male, poi m'accontenta. Il sentiero è meraviglioso, un capolavoro di armonia fra l'intervento dell'uomo e la conformazione della natura: rocce, alberi, torrenti, radici. Penso che il papa Woityla, cui è dedicato questo sentiero, se l'ha percorso ne sia rimasto entusiasta. Ed è probabile, per la vicinanza del casello autostradale Roma-L'Aquila e il suo affetto per la Mentorella. La ragione di tale legame sta nel fatto che il Santuario, oltre ad una oggettiva suggestione spirituale, è retto dai Padri Risurrezionisti, una congregazione polacca. Qui il Papa si sentiva a casa, nella sua terra. Davanti alla Immagine della Madonna medito lungamente il Magnificat, comprendendo tante cose di questa eccelsa preghiera.
Il Santuario è tappa della Via Bendedicti, anche se storicamente i rapporti col Santo sono incerti e fantasiosi; comunque atmosfera della prima stagione eremitica di Benedetto.
Pur pago della discreta salita, voglio raggiungere anche il più elevato borgo di Guadagnolo, nel quale più che il monumentale Redentore mi colpisce la parrocchiale, dedicata a San Giacomo Apostolo e una edicola mariana nella piazzetta, dove è scritto che chi recita qui le Litanie Lauretane riceve una speciale indulgenza. Cosa che faccio subito, con entusiasmo, osservato da una vecchia del posto, con cui mi fermo per una tenerissima conversazione.
Al ritorno decido di disobbedire al cacciatore: mi aveva sconsigliato di tornare a casa per il crinale della montagna (però nel dirlo, aveva indicato chiarissimamente il percorso), troppo lungo e a tratti invaso da rovi. Qualche spina c'è, ma con la mia attrezzatura collaudata attraverso indenne e felice tutta l'area boschiva, arrivando direttamente a casa dall'alto, pieno di gloria, stanchezza e soddisfazione. Una cena speciale mi aspetta, una serata in santa compagnia, ma soprattutto il pensiero che la mattina seguente alle 4,30 sarò in strada.
Luci sulla Mentorella. Questo Santuario fu molto amato da Giovanni Paolo II; qui venne a ringraziare la Madonna, un mese dopo la sua elezione al Pontificato. Tutti si meravigliarono del luogo per il suo "primo viaggio", comprendendo l'animo avventuroso, sentimentale e mistico del Papa.
Davanti alla Madonna vivo personalmente due luci, che riporto testualmente dal taccuino:
a. La pastorale vocazionale è la più "furba" di tutte: più che fare un'opera buona, vale suscitare vocazioni in tanti che facciano opere buone. E' il principio della moltiplicazione. Poi le cose insieme si fanno meglio. Come si fa pastorale vocazionale?
- Con una vita trasparente in Dio, come fece san Benedetto salendo i "12 gradini"
- con indicazioni dei bisogni
- col pregare per questa intenzione e fare pregare.
b. Bellezza del Magnificat, preghiera che rivela l'animo di Maria e di ogni santo.
Il primo sguardo è al Signore, visto in tutta la sua amorevole magnificenza, provandone entusiasmo. Il secondo sguardo è a se stessa, vedendosi piccola e per questo "salvata" dalla misericordia divina, prodigio che tutte le generazioni dei giusti e dei santi vedono e perciò la dichiarano beata. Di nuovo lo sguardo al Signore, lodato per le "grandi opere" fatte in lei. C'è un intreccio fortissimo fra il creatore e la sua creatura resa capace delle cose divine, le sole "grandi". Poi il discorso di universalizza: da lei a tutti quelli che ne seguono la medesima strada della fede, della vita nello Spirito: " La sua misericordia si stende su tutti quelli che lo temono". Infine lo sguardo alla storia, col rovesciamento delle sorti, e in conclusione al popolo eletto e alle promesse "per sempre"
CICILIANO - SUBIACO (km 27)
1 Settembre 2010 - Mercoledì - E' buio fondo quando esco dalla grande casa. Le sorelle mi hanno insegnato il percorso, i cancelli giusti, per uscire senza difficoltà. Gioiosissimo come sempre iniziare così una giornata di cammino: incontro all'alba col rosario in mano, preghiera ritmata dai passi, dal respiro intenso, dalle sensazioni della notte. Non ho fatto colazione ma sono tranquillo: passerò accanto a tanti paesini e prima o poi un bar aperto ci sarà. Iniziare a stomaco vuoto, aggiunge una nota penitenziale che non guasta: la volontà dominante sui bisogni del corpo. Sul corpo proprio sarà, ma sui cani altrui è un' altro discorso. Avrò percorso un paio di chilometri che tre enormi cani, rabbiosissimi, mi vengono incontro in mezzo alla strada: un pastore tedesco, il più cattivo, e due maremmani, non molto più buoni. Memore delle lezioni di Lamberto: "in questi casi bisogna fare il palo" mi fermo immobile e pur continuando ad abbaiare minacciosi, smettono di avanzare, fermandosi a tre metri da me. E' buio profondo; abitano sicuramente in una delle case a fianco strada e sono in agitazione per una situazione insolita: un uomo a piedi, di notte, vicino al loro territorio. Ad ogni rarissimo camion che passa, spostandosi i cani, posso avanzare di una decina di metri, e così, dopo quasi quaranta minuti, usciti dalla loro area, smettono di ringhiare e s'allontanano. Sono scosso dalla paura, ma soprattutto dal freddo accumulato a "fare il palo" e pur ricoprendomi con abiti di ogni tipo, stento a rientrare in temperatura. La strada prosegue, ma di bar aperti neppure l'ombra: per di più i paesini accostati, Gerano, Cerreto Laziale, sono non proprio vicinissimi al percorso e in cima a scoraggianti salite. La luce del giorno m'avvolge in zone di aperta montagna, dolcissime pieghe di strada, fantastica quinta dei boschi, tratto solitario e arioso in costante salita, davvero meraviglioso se solo non fossi digiuno. Cerco di farmi una ragione, lavorare di volontà, dando senso a quella situazione. Dopo due ore sono sotto Rocca Canterano, paese famoso per la Sagra dei Cecamariti; dal basso vedo ergersi altissima la rocca, le case ... ma come faccio ad arrivare lassù? Vale la pena per un caffè una salita simile? Sì vale la pena, dice il mio corpo! Nella piazza mi fermo a sedere su una panchina di pietra e inizio a meditare i "12 gradini dell'umiltà" di san Benedetto; poi uscendo dal borgo poverissimo, leggo sullo stipite di una porta:
" O tu di mesta fronte, o passegger t'arresti:
di Dio la madre è questa: mirala, piangi e prega;
dei tesori la fonte, a te la grazia non nega".
A mezzogiorno, dopo lunghissima discesa, sono a Madonna della Pace, borgata ricca di colore e di traffico, per la larga via lungo l'Aniene che porta a Subiaco. "Sono stanco morto" direbbe Sid e lo dico anch'io. Ho solo fame; andrei volentieri in un ristorante ma non ne vedo - dopo cento metri ce ne saranno a decine - Allora entro in un negozio e mi faccio il più straordinario, fantastico panino gigante alla porchetta che si possa immaginare. Avevo chiesto del prosciutto cotto, ma la anziana bottegaia guardandomi dice: "se dà retta a me prende di questo". Le ho dato retta e non mi sono pentito.
Il tratto verso Subiaco è via di grande passaggio, ma è talmente larga la careggiata e singolare l'orario - le due del pomeriggio - che si procede tranquilli. Subiaco accoglie il pellegrino come tutte le grandi cittadine, con una brutta periferia e un incanto di centro. Mi fermo negli angoli più significativi: il Duomo, la Piazza, dalla fontana decorata di poesie incise sulla pietra, l'armonioso Ponte di San Francesco, sulle limpide acque del fiume Aniene.
Su una panchina del parco scoppia la crisi: i piedi non ne vogliono più sapere di camminare, sono stanchi e surriscarladati, ma devo ancora salire la zona dei Monasteri, Santa Scolastica e Sacro Speco. L'orario mi consente una lunga sosta prima di riprendere la marcia, verso due fra i più straordinari luoghi di fede, arte e storia d'Italia. Saggiamente raggiungo prima il monastero più alto e poi quello dove mi fermerò la notte. Luoghi di incredibile ordine interiore ed esteriore; il canto della pietra, dell'acqua e del legno, unito alla luce dell'anima, naturale e soprannaturale. La cultura qui si respira, la vivi, la abiti. Con queste impressioni profondissime e belle mi lascio accogliere in una celletta del Monastero di Santa Scolastica; non c'è doccia, ma mi lavo bene ugualmente, pronto per vespri, Messa e la cena conventuale. Neppure il tempo di sistemare la stanza e già il sonno la fa da padrone.
A sinistra "Sacro Speco" di Subiaco - a destra uno dei chiostri di "Santa Scolastica"
San Benedetto e Subiaco
Nessun luogo, oltre a Montecassino, è importante per conoscere San Benedetto come Subiaco: qui il Santo ebbe la sua conversione, qui nacque l'ordine Benedettino.
Colui che il Papa Paolo VI proclamerà Patrono d'Europa, nacque a Norcia nel 480. Poco si sa della sua vita: si direbbe che tutto quello che di lui è rimasto sia la "Regola": strada per divenire discepoli di Gesù, che Benedetto assunse da opere precedenti e dalla sua personale esperienza di vita.
Nacque da famiglia borghese; dopo un breve soggiorno a Roma si ritira a Enfide aggregandosi ad una comunità di asceti, quindi vive per tre anni come eremita a Subiaco in una spelonca. "Pregando, trova in Dio la sua patria: la spelonca è un simbolo materno. Benedetto rimane qui per tre anni separato dagli uomini. Dev'essere per così dire rigenerato in Dio per potere risorgere come uomo nuovo. Dopo tre anni festeggia la risurrezione, quando per Pasqua un uomo va da lui. Questi aveva avuto l'incarico, in una visione, di andare a condividere il pasto con lui. Fa visita all'eremita e gli parla della vita spirituale. Quindi lo invita a mangiare con lui "perchè oggi è Pasqua". Benedetto gli risponde: "Lo so che è Pasqua perchè ho avuto la grazia di vederti". Dopo tre anni di solitudine e ascesi Benedetto si rallegra di condividere il pasto con un uomo. E' stato alla scuola della solitudine, dove ha imparato a conoscere se stesso, con tutti i propri abissi e inquietudini, e ora è capace di incontrarsi con un altro, senza pregiudizi e in modo aperto. E' divenuto un uomo nuovo. Come Gesù è risorto dopo tre giorni, così Benedetto festeggia la sua risurrezione dopo tre anni. Da rigenerato incontra i pastori, parla con loro e li converte "da una vita rozza, siile alle bestie, ad una gradita a Dio". Il parallelo con la nascita di Gesù è evidente: i pastori danno l'annuncio della rinascita di Benedetto". (Anselm Grun)
Tuttora Subiaco è famoso, tra le altre cose, per la Festival internazionale della Zampogna: qui si costruiscono, si suonano, mantenendone viva la tradizione.
SUBIACO - ALTIPIANI DI ARCINAZZO (km 22)
2 Settembre 2010 - Giovedi - Nei Monasteri benedettini il problema del mattino è il caffè. Si recita Notturno alle 5,00, poi la Meditazione personale; alle 7,00 Lodi e Messa, infine colazione. Per strada, digiuno resisto, ma in coro no: insorge sonnolenza, tedio, difficoltà di concentrazione. Così, appena entro in un monastero, al foresteraio la prima cosa che chiedo è: "c'è una macchinetta caffè?". Il Monastero di S. Scolatica ne ha una eccellente, accesa 24 ore. Così fra il Notturno e le Lodi, mi faccio un pieno, per spiccare il volo appena la messa conclude. L'Abate Mauro, con cui concelebro, è freddino nei miei confronti; la notizia che stia facendo il Cammino di san Benedetto non lo coinvolge affatto: mi sento uno dei tanti che passano, uno schema di Regola, più che un ospite. Capisco che il mondo benedettino, sotto l'apparenza di ordine e pace, deve sopportare una pressione "culturale" notevole: immensi edifici a fronte di comunità esigue, in un mondo distratto e lontano, che ti cerca solo per il passato e mai per il presente. Cosa mai ti può significare un pretino a piedi, da solo, che si ferma poche ore, incomprensibile nella sua inquieta felicità? Eppure sono convinto che, anche per i "grandi", il segreto della saggezza è vedere il piccolo, il singolo presente. Cosa gli costa un saluto e un sorriso? Forse lo alleggerirebbe del peso che la sua responsabilità comporta.
L'uscita da Subiaco è bella, specie il tratto iniziale a ritroso lungo l'Aniene. Comincia la salita, l'anima e il corpo stanno bene, il traffico è scarso, in cielo splende il sole, non fa caldo e riprende l'alternarsi di corone, letture e sguardi ad un mondo che è sempre uguale e sempre incredibilmente diverso, nuovo, interessante.
Ad Affile mi fermo a fare spesa, in un Alimentari gestito da due giovani fratelli e una sorella, gentilissimi e premurosi, interessati - pur in mezzo ai clienti - di chi sia, cosa stia facendo, da dove vengo, dove vado, perchè vado a piedi ... e mentre incartano formaggio e salume, sento che nel sacchetto mettono anche una fetta del loro animo aperto, buono, umano, che nutre il cuore del pellegrino non meno di pane e companatico. Dopo un'ora, in un piccolo campo d'olivi, circondato da montagne di cui non conosco il nome, consumo il mio pasto casereccio, adagio, gustando quel cibo "ciociaro" con lo stessa ritualità che metto nel pregare e camminare.
Il paesaggio si fa sempre più elevato, solitario e aspro; attraverso zone di magri pascoli, alberi riarsi: solo le numerose piccole vigne danno un senso familiare e abitato a questa terra desolata. Alle 14,00 passando davanti ad una inattesa pizzeria ristorante, gremitissima di clienti e auto, capisco che può essere utile una sosta con birra e insalata; anche per fare riposare i piedi, ininterrottamente attivi dalle 8 del mattino. Volentieri aspetto il mio turno, stendendo sul tavolo cartine, taccuino, breviario ... Mentre leggo un passo di san Benedetto, che illustra come la via della santità non consista nel salire in alto, ma nel scendere in basso, cominciando dalla accettazione amorosa dei propri limiti e zone oscure, mi prende una profonda commozione ... e iniziano a scendere lacrime, che ben conosco, amatissime, scioglimento del cuore e di tutto. Ripenso alle sorelle di Ciciliano, Maria, Lidia, Mara, Zita; al cacciatore Giorgio; a don Francesco, il padre foresteraio di Subiaco, umile e servizievole, ma soprattutto al mistero della vita in Dio, cui si accede attraverso la nostra piccolezza ...
Un enorme prato, pieno di cavalli, una ciclabile che costeggia la via diritta, segnano un cambiamento repentino d'ambiente. Ampie macchie di conifere, prati verdi e rasati, fanno chiedere: ma questo posto cos'è? Siamo agli Altipiani di Arcinazzo. L'impressione grandiosa e lussuosa del primo istante, cambia di segno dopo l'esperienza della interminabile attraversata. Ville gigantesche disabitate, parchi privati immensi e abbandonati, ristoranti e negozi chiusi, dalle insegne arrugginite e cadenti. Senza interrogare alcuno, capisco al volo la situazione: una trentina di anni fa, diedero licenze edilizie con dissennata larghezza : si poteva comprare a prezzi ragionevoli intere fette di bosco e farci la villa sopra: nacque un boom tanto travolgente quanto incauto: i borghesi romani arricchiti, credevano di essere Onassis con la megavilla ad Arcinazzo. Quando scoprirono che la megavilla era da mantenere, che i figli non volevano più andarci, che Arcinazzo non è Scorpios ... iniziarono a fuggire, ora è tutto in via di abbandono.
Mi fermo a dormire all'Hotel san Giorgio. Cortesi il giovane gestore Daniele ( fa trovare in camera un vassoio di frutta fresca) e il papà che indica premuroso un sentiero "da pellegrini" per il tratto di domani.
Dopo una semplice cena, sento che manca qualcosa. Preghiere? Ne ho dette tante! Scrittura? Ma sono stanco! Compagnia? Non direi! In un piccolo bar ordino un bicchierino ... finisco la giornata ringraziando il Signore di avere creato i produttori dell'Amaro Montenegro.
ALTIPIANI DI ARCINAZZO - ABBAZIA DI TRISULTI (Km 28)
3 Settembre 2010 - Venerdi - Oggi tragitto lungo, bisogna partire presto. Alle 5.00 con somma gratitudine trovo un bar aperto: pasta e cappuccino riscaldano l'animo non meno del corpo. "Saziaci al mattino con la tua grazia, esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni" (Ps. 89). La strada sale costante, sinuosa, tranquilla. Per quasi quattro ore non si incontra alcun paese, borgo, casolare. Il totale isolamento si sposa con una graziosità del paesaggio, tale ai miei occhi forse a ragione delle frequenti mandrie di mucche, anche in mezzo alla strada. Ho sempre amato questo animale, compagno della mia infanzia contadina. Mi avvicino talvolta, accarezzandone la groppa, il muso, sempre che, impaurito, non s'allontani. Sovviene la poesia del Carducci: "T'amo o pio bove, e mite un sentimento di vigore e di pace in cor m'infondi".
Recita del salmo 89: "Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica e dolore". E' vero; anche se il pellegrinaggio rappresenta, in questo scenario di universale pena, una parentesi di pura felicità, quasi anticipo del Paradiso. Considero come sia significativo il camminare da soli: anche la morte la si attraversa da soli, e al giudizio ci si presenta da soli. E come là ci sarà chiesto conto degli altri, e la felicità sarà comunione, così il pellegrino è solo ma per la comunione con tutti.
La serenità del mattino, la regolarità della marcia, fa ricordare l'VIII° gradino dell'umiltà di S. Benedetto: "Nulla si faccia fuori della Regola". Il non cercare eventi straordinari, imprese personali, fa gustare ogni dettaglio del presente, della via buona intrapresa, senza nulla togliere in apertura e letizia, anzi accentuando la capacità di espansione dell'anima.
La strada prosegue con dislivello notevole, prima in salita, poi in discesa. Sul valico nessun segnale umano se non un cartello curiosissimo, su carta, attaccata con adesivo al palo segnaletico: "Attenzione passaggio pellegrini a piedi". C'è scritto proprio così! Cammin facendo, mi sono accorto della grande devozione in zona alla Santissima Trinità di Vallepietra. Una icona miracolosamente dipinta sulla roccia, raffigurante tre personaggi perfettamente identici. Il Santuario dicono sia piccolo, decisamente alpestre, raggiungibile solo a piedi: da tutte le parrocchie organizzano pellegrinaggi di gruppo, che durano talvolta anche più giorni. Ecco la ragione del cartello.
FOTO STORICA DI PELLEGRINI ICONA DELLA SANTISSIMA TRINITA'
Il camminare a lungo, specialmente in luoghi ariosi e dolci, muove una esuberante letizia e viene voglia di cantare; stavolta tocca al brano "Custodiscimi":
Ho detto a Dio / senza di te /alcun bene non ho / Custodiscimi! ...
Canto liberamente a ritmo dei passi, al cospetto di roverelle e sponde sassose. Dopo aver ripetuto una decina di volte le strofe canoniche, inizio ad inventare io parole nuove. Questa ingenua e gioiosa creatività s'interrompe solo davanti ad una cappelletta, dedicata - incredibile - alla Madonna del Buon Cammino; sul frontone la scritta:
Col cuor devoto
e la mente pia
qui ferma il passo
e saluta Maria.
Il paese cui approdo è Guarcino. Molto grazioso, grande, ispira un senso di calda umanità. Ne ho conferma visitando il Santuario Madonna della Neve, legato alla beneficenza di un importante Ingegnere, progettista della vicina zona sciistica di Monte Catino e restauratore a sue spese del Santuario. Attraverso la piazza, col suo epico monumento cavalleresco ed esco facendo l'errore di non assaggiare i famosi "amaretti". Per una strada di montagna si giunge a Vico nel Lazio, ennesimo armonioso borgo, dove vivo incontri belli con varie persone, ricevendo in dono dal fornaio la famosa e deliziosa "pizza", come qui chiamano la focaccia di pane condito. Dopo una sosta nella chiesa, piccola, antica e raccolta, la mangio adagio su una panchina, assieme a fichi maturi, buonissimi, raccolti lungo la strada.
Alle 13,00 riprendo la strada, lasciando il cuore ondeggiare in alterni pensieri, sulle belle esperienze passate, o su quelle che mi aspettano. Costeggio la zona naturalistica del Pozzo d'Antullo, una dolina che dall'apparato ricettivo per turisti: cancelli, biglietteria e percorsi guidati, fa presagire qualcosa di fantastico; andrei volentieri a dare un'occhiatina, ma c'è chiusura per pausa-pranzo e non posso aspettare. Più avanti incontrerò qualcosa di simile per le Grotte di Collepardo. Il pellegrino tutto apprezza e ammira, ma nulla gli è veramente necessario, se non quello che ha già nel cuore, perciò il proseguire senza visitare non fa problema. Collepardo è come una lama attraverso il cielo: un borgo costruito su una affilata vetta, stretta e lunga, con edifici di pregio e altri popolari, non meno belli. Mi fermo presso la grotta di Lourdes, a ridosso del Castello, per un poco di riposo, lettura, preghiera, diario. Piedi scalzi, zaino sotto la testa, nella posa del viandante, tanto lieto nell'andare che nel sostare. Nel taccuino ho due numeri di agriturismi qui, nel caso Trisulti non possa ospitarmi, ma al telefono una voce risponde che sì, mi prendono in Abbazia. Forse per la stanchezza che comincia a farsi grande, riprendo la salita ad andatura più che decisa: voglio arrivare. Alcuni chilometri prima del cenobio, quando la salita finisce, la strada s'infila in un bosco di querce, così incantevole che gli aggettivi "misterioso", "sacro", sono i primi ad affacciarsi alla mente. Solo i banali manifesti della vicina Trattoria "con piatti tipici locali" rovinano la magica atmosfera.
Mi accoglie un signore sulla settantina, in maglietta, dimesso, sbrigativo; penso sia un portinaio, un addetto alle pulizie ... è il Priore della Certosa di Trisulti, che mi sta aspettando. L'ingresso nel monumentale edificio sbalordisce il visitatore, per i dettagli e per l'insieme. Padre Gianni, il Priore, m'accompagna subito in una camera, nella "foresteria nobile" e mette a disposizione non un letto, ma un'intera area dell'edificio; posso lavarmi i piedi in una stanza, le schiena nel bagno di fianco, e la testa in un'altro ancora. Vado subito in chiesa per ringraziare il Signore e anche visitare un poco il luogo: ma nel coro mi fermo. Rimango fra quegli antichi legni, in un edificio che fu glorioso e ora vive la limitatezza dell'assalto turistico, dalle 10,00 alle 17,00. Ho la fortuna di vivere al contrario qui dalle 17,00 alle 10,00 nelle ore della sera, solitaria e solenne, della notte e dell'alba: le ore dell'anima. La preghiera liturgica con i quattro anzianissimi monaci è dolcissima e devota, preludio di una cena tanto semplice quanto abbondante e cordiale. Padre Gianni, settantacinque anni, è il più giovane: mi accolgono come un figlio, facendomi sentire proprio a casa. Ascolto le loro conversazioni, essi i miei racconti e rimaniamo a tavola a lungo e distesi.
" Non venga in chiesa per compieta: vada a letto che è stanco" . Infilando la chiave nella toppa della "foresteria nobile", avvolto dalla melodia di numerose invisibili fontane, sento tutta la fortuna che mi circonda. "La luna allaga il cielo di verginale chiarore".
CERTOSA DI TRISULTI
CERTOSA DI TRISULTI - ABBAZIA DI CASAMARI (km 31)
4 Settembre 2010 - Sabato - Come la cena, anche la Messa mattutina coi monaci è estremamente familiare. Si celebra prestino e, dopo una allegra colazione, alle 8,00 sono in strada. Lungo la via, che costeggia in lieve discesa il monte, riassaporo tutta la serenità della permanenza, pur considerando con dispiacere che non ho visitato quasi niente della importante costruzione. Allontanandomene, da un punto panoramico particolarmente felice, la ammiro, candida, incastonata nel verde della montagna.
La strada scende fino al fiume, poi risale dalla parte opposta fino ai ruderi del Monastero di San Nicola, A causa di queste numerose presenze religiose la zona fu chiamata in antico "Valle Santa". Ma dopo il suggestivo ponte di pietra, invece di monaci incontro un cagnetta. Il capo sporgente da un manufatto di cemento, la noto sul ciglio della strada, con uno sguardo mite, affettuoso e mesto. Faccio gesto di chiamarla e dimenandosi mi viene incontro festosissima. Non so riconoscere la razza: color caffelatte, pelo corto, di media grandezza, slanciata, vivace, molto bella. Dai movimenti noto che è in calore, ha una zampa leggermente ferita, forse da una roccia affilata. Gratificato dalla sua vicinanza, immagino abiti nei paraggi, oppure sia abbandonata. Dopo un'ora di strada insieme comincio a preoccuparmi, e nelle rare case incontrate chiedo informazioni: imparo che da tre giorni vive all'incrocio della "Valle Santa", abbandonata probabilmente da cacciatori. E adesso come faccio? Provo a convincerla a lasciarmi, ma niente da fare. In una cascina incontriamo un cagnetto maschio, che comincia a seguirla; spero che l'appetito amoroso la distragga, ma neppure quello conta. Entrambi amoreggiano seguendomi. Così mi ritrovo non uno, ma due cani, per di più dal comportamento allegramente imbarazzante. Non mi è di molta consolazione pensare ai tanti pellegrini ritratti col cane: San Rocco, Tobia ... quando arriverò al monastero con queste due creature, come farò? Durante un colloquio con un anziano lungo la strada, forse seccati della lunga sosta, improvvisamente non li vedo più e con molto sollievo riprendo da solo il cammino.
Un ingenuo cronista, in vena di infantile poesia, noterebbe che "in cielo splende il sole, gli uccellini cantano sui rami e nel cuore c'è tanta pace".
A mezzogiorno incontro cordiale con due bottegaie di Amaseno: non solo servono con entusiasmo quel poco di cibo che compro, ma mi pregano di fermarsi a consumarlo nel bel giardino di casa loro, davanti al negozio. Chiedo una birra piccola, ma ne hanno solo di "grandi". "Consumerò quel che mi serve - penso - e il resto la lascerò "; ma è così bello fermarsi lì, parlare con loro, mangiare quelle cose buone, che la Peroni "grande" se ne va per intero. E senza far male. Anzi facendo molto bene.
L'arrivo a Casamari comporta un lungo tratto di strade trafficate, "in una lamentevole pianura" fra capannoni, Discount, negozi e case "normali". Di una casa dove abita un uomo non bisogna mai dire che è brutta. Questo contesto così comune non fa supporre che di lì a pochi istanti il pellegrino si trova di fronte ad una delle più grandi meraviglie di architettura religiosa. L'abbazia di Casamari si presenta subito con umanità ed elevatezza. E' il trionfo della pietra grigia, reso gentile, anzi bellissimo, dalle forme che l'artista ha dato agli spazi, agli ornamenti e dall'accostamento coi fiori, le piante e con la figura bianco-nera dei monaci cistercensi. Tutto è bello: le zone d'accesso, le scalinate, i cortili, i pozzi, i chiostri, le aule, la "capitolare" e "il refettorio" e la solenne chiesa, purissima nelle linee, sobria nelle forme, mistica in tutto. "Il vuoto, forma architettonica del silenzio".
L'accoglienza è modesta: se non fosse per un ospite della foresteria, che entrati in conoscenza mi segue ovunque, come i cagnolini del mattino, nessun monaco di Casamari mi rivolge la parola, o un cenno che esisto. E' sabato, nella basilica si celebrano due matrimoni e posso poco rimanere in chiesa. Ne approfitto per visitare bene il monastero, i musei, e tutto la parte immensa esterna, introdotto dall'amico che conosce i passaggi segreti. Imparo che da poco hanno girato qui un importante film in costume; proprio posto da film! Ma non vedo l'ora che tutto si chieti e potere sostare davanti al tabernacolo; in chiesa m'attira anche la tomba di un giovane monaco eritreo: beato Felice Maria Ghebreamlak. Leggo la sua storia: venne in Italia sognando la vita monastica. Ma nessun ordine accoglieva africani: "non adatti alla vita benedettina". Dopo molte vicissitudini Casamari lo accolse, vi visse in modo esemplare, sognando l'impossibile: "che in Eritrea si aprisse un monastero cistercense". Pregò, lavorò, chiese ... poi si ammalò, facendo in tempo, prima della morte, a vedere realizzarsi il suo sogno. Sulla tomba del giovane beato Felice Maria il cuore mi suggerisce essere quello il momento e il posto per formulare anche io una preghiera impossibile: "che il Signore mi chiami pellegrino a vita".
"Sai cosa chiedi? ... la tua rovina: solitudine, malattia, inutilità ... vuoi questo?".
"Se è per la gloria di Dio, volentieri"
LA CAGNETTA E ABBAZIA DI CASAMARI
ABBAZIA DI CASAMARI - CASTELLO DI ROCCASECCA (Km 24)
5 Settembre 2010 - Domenica - Il portone della Abbazia non apre prima delle 7,30. Senso claustrofobico davanti a quella mole massiccia chiusa. Per fortuna la prima Messa domenicale è presto, alle ore 7,00. Vi partecipo, dopo la preghiera del Notturno delle 5,00 e le Lodi. Presiede un giovane monaco, con omelia al popolo letta, esatta e fredda. Voglia di scappare. La visione delle porte della chiesa finalmente spalancate, verso la luce e la libertà, rimane fortemente impressa negli occhi e nel cuore.
A Casamari non mi è mancato nulla, a parte un po' di calore umano. Parto dunque grato, della camera, delle preghiere comuni, della cena, del sollievo per un corpo stanco e un'anima bisognosa di pace. Anche le sensazioni spiacevoli accolgo con gratitudine, introducendo a due "gradini della umiltà" di S. Benedetto, particolarmente difficili; il 6°: "Accontentarsi di tutto ciò che è più umile e spregevole, ritenendosi indegno... " e il 7°:" Non solo dichiararsi a parole il più umile e spregevole, ma nel sentirsi tale nel profondo del cuore".
Con questi pensieri m'incammino per una ennesima leggera salita, in direzione di Monte San Giovanni Campano. Già ai primi passi tutto s'avvolge di letizia; considero la singolarità di un parroco che alla domenica mattina, invece di essere fra i suoi fedeli a preparare le Messe e il resto, se ne va solo ramingo per i monti. Da una cima all'altra delle alture suonano campane, quasi facendosi eco. Rosari, letture, salmi, sguardi a case, giardini, borghi, coi negozi chiusi e rara gente lungo la via. E' il giorno della Risurrezione!
Alle 11,00. verso Fontana Liri, messaggi telefonici ai giovani di Piumazzo, raccolti per la loro Messa, cui mi unisco nel sentimento e preghiera. Le gambe funzionano bene, la testa pure; sosta nelle piazze dei paesi, compiacendomi della visione delle folle che vanno, o escono dalle messe, e ringrazio il Signore per la fede che, nonostante le difficoltà, in molte anime perdura e risplende. Il paesaggio non è bello come al mattino; ormai siamo in pianura, lungo strade ad alta percorrenza, che tuttavia giornata e ora risparmiano dallo stress del traffico. Ma il pellegrino raccolto in se stesso non è toccato più di tanto da fatica o distrazione.
Ad Arce sosta al cimitero per una preghiera e più avanti ad un ristorante per mangiare qualcosa. Una famiglia seduta accanto al mio tavolo, credo per un compleanno o un anniversario, mi fa un poco pena: visi annoiati, quasi non si parlano, lasciando quasi tutto nei piatti. Hanno ordinato troppo e dopo le prime portate non hanno più voglia di niente. Dal canto loro avranno compassione di me, della mia povera e unica bistecca e insalata; ma nel cuore Dio vede quanto sia sereno e felice. E il rosario che segue, sotto il sole, con lo zaino in spalla, è il migliore ringraziamento al dono del cibo e del cammino.
Sulla strada verso Cassino, dolce e rettilinea, sosta per un caffè. Un giovane tunisino, venditore ambulante di povere cose, giocattoli, casalinghi, ha il carretto appostato ai margini del bar.
Facendo io cenno d'offrirgli qualcosa, si rifiuta gentilmente dicendo che è Ramadan. Iniziamo una bella conversazione cordiale e seria, sui "cinque pilastri dell'Islam" uscendone molto edificato,
dalla sua fede e osservanza, che spinge me a seguire con non minore amore Cristo e la sua volontà.
Finalmente verso le 16,00 sono in vista di Roccasecca, a pochi chilometri dalla Casilina, abbarbicata alle pendici di un erto spuntone roccioso. Sono ormai stanco e iniziano i sintomi dei "piedi
cotti"; tutto è scusa per fermarsi: un albero di fichi, una vigna con grappoli maturi, una cappella di San Rocco in cui non si può non entrare. All'ingresso del borgo vedo stagliarsi in alto un
castello: "spero che non debba salire lassù!" dico fra me e me. E invece, curva dopo curva, porta dopo porta, è proprio nel punto più alto della rocca che debbo salire: la casa dove
nacque San Tommaso D'Acquino, ora albergo.
Avevo prenotato qui, unico alloggio in zona, con un poco di titubanza per il lusso. Infatti alla reception lo sguardo della addetta a questo "Cavaliere dalla Trista Figura", stanco, sporco, solo, non è dei più rassicurati. Dopo essermi sistemato, ridiscendo per presentarmi in aspetto più umano e dare uno sguardo al luogo e alla cena. La sala da pranzo è di una eleganza straordinaria: perfettamente intonata al luogo, unisce il miglior design contemporaneo, circa piatti, arredi, tessuti, al gusto colto per una architettura antica. Il tutto mi dà una soggezione incredibile. Per fortuna il rapporto umano si scioglie chiedendo informazione sul percorso di domani. Imparo che il Relais è gestito dalla mamma di Andrea, giovane avvocato con la passione della ristorazione. Ora tutta la famiglia vive e lavora lì, con alcuni dipendenti. Stanno preparando un grande banchetto per la sera e sono molto occupati. Tuttavia la madre non manca di avvolgermi di premure, facendomi l'onore di sedere accanto per la cena, trattandomi da sacerdote, più che da cliente. Conversazione bella, profonda, calda di reciproco incoraggiamento. Pur potendo assaggiare specialità singolari, chiedo una cena semplice, che subito portano, preparata con particolare arte.
In camera per curiosità accendo Sky; commuove che nel settore Family trasmettano il film Era Glaciale: al sonno sereno del bradipo Sid, si unisce grato quello del pellegrino.
ROCCASECCA - LOCANDA DEL CASTELLO - SAN TOMMASO D'AQUINO
I 12 gradini dell'umiltà
Leggendo la Regola di san Benedetto sono stato colpito da due elementi: la importanza data alla preghiera dei Salmi e il capitoli VII sui "12 gradini dell'umiltà". Sul primo aspetto non si trova mai un discorso di spiegazione del perchè siano così importanti; evidentemente Benedetto si attiene ad una tradizione precedente, del monachesimo e giudaismo, ma sopratutto ad una esperienza personale: pregando lungamente con i Salmi, lui ne ha sperimentato il frutto e dunque la necessità. Ritiene che la recita settimanale di tutti i 150 Salmi sia "cosa modesta" il minimo; in realtà significa recitane una quindicina ogni giorno, distribuendoli nelle varie ore.
In secondo luogo il capitoletto sui "12 gradini" è veramente un trattato di ascesi e vita spirituale, dove l'idea di base, quella che mi fece commuovere nella sosta ad Arcinazzo, è che per salire a Dio, occorre ... "scendere". L'umiltà come condizione di perfezione, luogo per ritrovare se stessi, il prossimo e Dio nella verità.
Facile intendere i primi gradini: sembrano così completi, che dopo aver considerato i primi tre, sull'amore di Dio, sul fare sempre la sua volontà, si pensa non possa esserci altro; incredibili gli ultimi quattro, sull'atteggiamento del corpo: capisco adesso lo "stile" benedettino così elegante, sobrio e distaccato; a occhi mondani può sembrare superbia, freddezza - e in taluni casi lo è - ma profondamente è il contrario. Li elenco tutti, sapendo che non ha senso una sintesi siffatta: occorre leggerli in originale, praticarli e approfondirli con un Padre Spirituale. La meditazione di questi "12 gradini dell'umiltà" è stato il filo conduttore del mio Cammino.
1. Il pensiero costante di Dio e dei suoi comandamenti. 2. Il fare sempre la sua volontà, non la nostra. 3. L'obbedire al Superiore. 4. Obbedire anche quando è gravoso. 5. Confessare i pensieri cattivi e le colpe. 6. Amare ciò che è piccolo e spregevole. 7. Sentirsi nel cuore veramente piccoli. 8. Non fare nulla fuori dalla Regola. 9. Amare il silenzio, parlando solo se interrogati. 10. Non essere facili al riso. 11. Parlare in modo sobrio, ponderato e a bassa voce. 12. Essere modesti nell'atteggiamento del corpo.
ROCCASECCA - MONTECASSINO (km 22)
6 Settembre 2010 - Lunedi - La prima colazione trovata pronta alle 5,00 in un tavolo della sala è sigillo di una accoglienza squisita e partenza felice per l'ultima tappa.
Un poco di timore nell'attraversare un borgo medioevale nel buio della notte, coi vicoli stretti, gli incroci non sempre evidenti, ma le indicazioni ricevute la sera prcedente sono chiare e mi è
facile orientarmi per la direzione giusta. Uscito dal borgo il percorso lineare e dolce giunge a Caprile, centro abitato a cinque chilometri. Chiesa dedicata, tanto per cambiare, a San Rocco
rinnovando la commozione che mi prende ogniqualvolta incrocio questo santo pellegrino.
Più per prevenzione che necessità, a Castrocielo faccio una seconda colazione in un bar frequentato da gente che va al lavoro. Il ritmo del mio cammino è sempre il medesimo: comincio al buio
con il Rosario, poi appena albeggia le Lodi e la meditazione del testo del giorno, poi di nuovo un Rosario e così "senza stancarsi". Ormai sceso dalle colline cammino parallelo alla Casilina,
lungo un percorso che avevo studiato in Internet e che sul campo, chilometro per chilometro, cerco di individuare non lesinando richieste ai passanti, nei confronti dei quali, non raramente mi
mostro più informato io di loro: "Qui ci deve esser un sentiero ..." " Ah sì, è vero, non me lo ricordavo". Attraverso luoghi tranquillissimi, graziosi, umili, senza
traffico, nel silenzio e nella natura. È davvero una finale degna di Santiago, alcuni tratti vi somigliano veramente e il cuore riprende a sognare.
Dopo Piedimonte alle 10,45 sono alle porte di Cassino. Per salire alla Abbazia le guide parlano di 9 km e un dislivello di 800 metri. Come amerei arrivare per il pranzo! Potrei ristorarmi ed
entrare appieno nel clima del Monastero, ma credo che i tempi non lo consentano. Quando imbocco la grande via asfaltata di salita, nei pressi di un famoso sito archeologico, teatro di epoca
romana, sento le energie esplodermi dentro. Inizio una marcia dal ritmo sostenutissimo, sotto un sole implacabile e lungo un tratto veramente erto e lungo. Pullman pieni di turisti oltrepassano e
io sono contento di questo mio modo singolare di salire a piedi, gustando tutto il piacere della fatica e della esperienza. La montagna non è solo un ostacolo alla meta, una faticosa parentesi
prima dell'arrivo, ma è essa stessa piena di senso: un mondo che attraverso e abito. Sudatissimo e sfinito, giungo al grandioso viale ingresso della Abbazia alle 12,00 in punto. I
visitatori a frotte stanno uscendo per salire sui bus. Facendomi largo fra la folla arrivo alla portineria. Neppure il tempo di aprire bocca, che tranquillo e determinato il portiere dice: "
Chiudiamo, non si può più entrare! Riapre alle 15' 00" .
In quel momento un monaco, giovane, alto, elegantissimo, sta entrando. Giusto il tempo di chiedergli: "C'e qui un posto per mangiare?". " No, quassù non non ce' nulla! Scende ora una corriera, se vuole approfittare". " Non posso scendere, mi fermo per la notte". " Ah si ferma da noi? Allora venga con me, la faccio entrare".
Alla ora sesta in coro, davanti alla tomba di San Benedetto e Santa Scolastica mi abbandono ad una profonda preghiera di gratitudine. Cerco di stare lontano dai monaci, puzzo di sudore e
non voglio farmi compatir più di tanto. La preghiera che scende commossa, unisce alla gioia dell'arrivo alla meta, lo sfinimento che trova conforto in una casa, una famiglia e una tavola. Il
pranzo e buonissimo e impagabile il letto dopo la doccia.
Montecassino colpisce per la sua collocazione, imponenza e armonia. Una città monastica, sulla quale il pensiero costantemente si confronta con le vicende della ultima guerra mondiale, la sua
distruzione e integrale riedificazione Dalla mia cameretta noto la perfezione della ricostruzione: tutto è della più elevata qualità: muratura, infissi, fregi, materiale. Si sta veramente bene in
quella stanza, che unisce sobrietà monastica a confort della modernità. il sonno è profondo, me ne starei li fino a sera, ma dopo "ora nona" ho l' appuntamento col foresteraio, Padre
Germano, che mi vuole fare visitare la Abbazia. Da sotto le coperte sento scrosci fortissimi d acqua. Sta facendo un gran temporale e penso alla fortuna d essere arrivato prima di pranzo. Padre
Germano ha circa settantacinque anni: bizzarro, acuto, appassionato e polemico; mentre riversa sul visitatore la sua sterminata cultura, circa fatti e cose del monastero, non manca di
personalissimi affondi, su situazioni e persone. Sono stanchissimo; amerei una spiegazione più breve, semplice e magari passare il mio tempo in preghiera, sulla tomba dei Santi per i quali sono
venuto. Invece mi tocca vivere la condizione del "sequestrato della cultura"; il campanello dei vespri mi salva, dopo tre ore di visita guidata, da un collasso emoculturale.
Il pellegrino sa che tutto quello che incontra sulla strada è provvidenza; sarà proprio questa ultima esperienza a dischiudermi la comprensione di San Benedetto, un uomo che ha voluto essere
pienamente in comunione con Dio e, in Lui, con i "nodi" della storia umana. Montecassino è un luogo attraversato potentemente dalla storia: primitiva, romana, medioevale, moderna; la lezione di
Padre Germano non poteva essere introduzione migliore.
Il temporale che aveva cessato nel medio pomeriggio, a sera riprende violento. Dalle terrazze balconate della Abbazia, nella solitudine scenografica della sera, con le acque che scendono dal cielo e non di meno dai canali dei cortili superiori, si vive una esperienza "metafisica". La figura solitaria di un monaco vestito di nero, in una composizione perfetta e astratta ricorda al vivo i quadri di De Chirico, lasciando nell'anima una impressione tanto solenne, quanto di misteriosa bellezza.
Dopo compieta ritorno sulla terrazza antistante la gradinata e il mondo. Tutto è grande e composto: non solo la creazione di Dio, ma anche l'opera dell'uomo, di una comunità, in Cristo, nella pace.
CONCLUSIONI
Ho conosciuto il carisma benedettino attraverso tre elementi: la persona del Santo, la sua terra, i suoi discepoli. L'impressione finale è di una grandezza tanto discreta quanto eccelsa : Patrono
d'Europa. L'aggettivo che sintetizza questo carisma è: "costruttivo".
In tempi di dissesto, quando la speranza viene messa alla prova, Dio suscita Benedetto per ricostruire l'uomo, la chiesa e indirettamente la società. Raccoglie in sè la tradizione cristiana
precedente, oltre a quella giuridica e organizzativa romana.
Gli elementi di questo suo cammino "costruttivo" sono: la fede, sostanziata dalla Scrittura, vissuta in prima persona attraverso una disciplina quotidiana di preghiera, soprattutto coi Salmi. Una
vita comune, imperniata in una Regola, con grande importanza del lavoro pratico.
Ma il genio spirituale di Benedetto si manifesta in due elementi: la stabilità e l'equilibrio.
Nulla di eccessivo, anche se tutto è regolato. L'elemento della stabilita, cui si congiunge quello della umiltà, dà il sigillo costruttivo a tutta l'opera. Solo la pianta ferma
cresce rigogliosa.
Ebbe cura che questa pianta fosse collocata in terreno scelto. Subiaco, Montecassino sono luoghi crocevia della storia. Così i monaci benedettini con la loro operosità qualificata,
culturalmente curata, la loro ospitalità discreta. Al viandante frettoloso può sembrare freddo e distante tutto ciò, come a me è successo, ma è il sigillo di una umiltà provata, tanto attuale,
quanto capace di superare una superficiale emotività.
Ho vissuto da pellegrino la Via Benedicti, portando a casa il dono opposto: l'amore al proprio luogo, lavoro, famiglia, ministero e l'indicazione di una strada educativa.
Il pellegrino è un inquieto; San Benedetto dona invece la pace attiva, il tendere al domani con la cura dell'oggi.
PAX è scritto all'ingresso di Montecassino: pace terrena, anticipo e segno di quella eterna.
Ringrazio San Benedetto, Santa Scolastica e tutti voi che, attraverso la lettura, avete condiviso questo Cammino.
don Remo Resca
P.S. Nel viaggio di ritorno, in treno da Cassino a Roma, alla stazione Termini in attesa del treno per Bologna, ispira una visita al santuario romano di Madonna dei Monti, vicinissimo, raggiungibile a piedi in 15 minuti. Voglio pregare sulla tomba di San Benedetto Giuseppe Labre, il santo pellegrino per eccellenza. In spirito di ringraziamento, a lui rinnovo la supplica per la parrocchia, per fare sempre la volontà di Dio, affidando il sogno del mio cuore ...