DIARIO DI DON GIANCARLO
Sabato 21 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,39-45
A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco,
appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Parola del Signore.
Entrati nel cuore dell’Avvento, prossimi al Natale, la liturgia ci introduce sempre più nel cuore della Vergine. La consapevolezza del dono della maternità divina avrebbe potuto legittimamente indurre Maria a immergersi in una adorante e solitaria contemplazione del mistero che si stava compiendo in lei. Oggi invece la vediamo sollecita salire in fretta verso la montagna per prestare gli umili soccorsi di cui ha bisogno Elisabetta, prossima alla maternità. È bello costatare come i misteri di Dio si svelino quando sono irrorati dall’amore e dalla carità fraterna: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo». Amore genera amore e la luce di Dio illumina i suoi misteri: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». La luce dello Spirito Santo, che emana da Maria, pervade il cuore di Elisabetta. Le è così consentito, nella gioia, di scorgere le realtà profonde ed invisibili ad occhio umano: Maria non è più la giovane parente che conosceva da sempre, ma la Madre del Signore, la benedetta fra tutte le donne, che ha creduto alla parola del Signore e porta nel grembo verginale il Dio della vita. Ancora così Dio ci si fa conoscere, attraverso le vie dell’amore, amore verso di Lui e verso i nostri fratelli. Quando l’amore diventa un vissuto quotidiano e un abito che stabilmente ci adorna, Dio è con noi e noi siamo con Lui: è il massimo della gioia possibile a noi, esseri viandanti verso il cielo. Buona giornata
O Oriens: Antifona Maggiore del 21 dicembre
O Oriens, splendor et lucis aeternae,
et sol justitiae:
veni, et illumina sedentes in tenebris,
et umbra mortis.
O astro che sorgi, splendore della luce eterna,
e sole di giustizia:
vieni ed illumina coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte.
Se per le antifone dei giorni precedenti potevamo collocarci in momenti precisi della storia della salvezza, in quella odierna in cui il Messia futuro viene invocato come “splendore di luce eterna” oltre che “sole di giustizia” potremmo davvero percorrere l’intera Scrittura e non si conterebbero i versi nei quali si fa menzione di Dio come Luce. Dalla luce accecante della Gloria del Signore nell’Antico Testamento, risiedente nel Sancta Sanctorum del Tempio (ovvero la sua stanza più interna), alla definizione che Gesù fa di sé stesso in Gv 8,12 “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre”.
Le Sacre Scritture ci parlano della luce che splende nelle tenebre (Gv 1,5): Cristo. Anche coloro che lo accolgono devono brillare come astri in mezzo ad una generazione degenere e perversa (Fil 2,15). Pensiamo infine al Benedictus in cui Zaccaria annuncia il Cristo che viene: “verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”.
Venerdì 20 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,26-38
Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio.
Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si
chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai
un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di
Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era
detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore.
È frequente per l’uomo la tentazione di cercare la salvezza ricorrendo agli umani artifici: il re Acaz ha immolato il proprio figlio agli dei pagani, convinto di garantirsi così un futuro prospero e sicuro per il proprio regno, ma la garanzia del futuro non consiste in questo, protesta il profeta Isaia. I segni e i progetti di Dio trascendono di gran lunga le attese degli uomini; Egli ci sorprende e ci stupisce preannunciando per bocca del profeta prima e poi con l’annuncio del suo Angelo, l’avvento e la nascita di un bimbo da una vergine: nella nascita prodigiosa del figlio di Dio e nella sua immolazione sulla croce sarà riposta la vera salvezza dell’umanità, in quella nascita sperimenteremo la presenza del Signore tra noi e in lui riponiamo la nostra speranza. Il Figlio sarà immolato, ma non a dei pagani, ma al vero Dio, che da quella morte farà scaturire la salvezza universale. In questo contesto scopriamo la sublimità del ruolo che lo stesso Dio affida alla Vergine Maria; così lei entra a pieno titolo nella nostra storia come vergine e madre feconda. Buona giornata
O Clavis David: Antifona Maggiore del 20 dicembre
O Clavis David et sceptrurn domus Israel,
qui aperas, et nemo claudit; claudas, et nemo aperit:
veni et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et
umbra mortis.
O Chiave di Davide, scettro della casa d’Israele,
che apri e nessuno può chiudere, chiudi e nessuno può aprire:
vieni, libera l’uomo prigioniero che giace nelle tenebre e nel
l’ombra di morte.
Siamo alla quarta Antifona Maggiore della Novena di Natale. Dopo il riferimento alla Creazione e all’esodo del popolo di Israele, contenuti rispettivamente nelle prime due Antifone, con la terza si scopre l’annuncio profetico della venuta del Messia di cui, nella quarta Antifona Maggiore, si scopre la peculiarità di Clavis David.
Per interpretare l’Antifona Maggiore di questo giorno, dobbiamo ricorrere di nuovo ad Isaia (“e metterò la chiave della casa di Davide sulla sua spalla: aprirà e non ci sarà chi chiuda, chiuderà e non ci sarà chi apra” – Is 22,22). L’oracolo, infatti, investe Eliachim maestro del palazzo reale al posto di Shebna pronunciando la frase che possiamo riferire al Messia. Frase che ritroviamo anche in una delle profezie: ” la cui potestà è sulle sue spalle”.
L’aggiunta della denotazione “scettro della casa di Israele” potrebbe essere riferita all’Oracolo di Giacobbe secondo la frase: “Lo scettro non sarà tolto da Giuda” Gn. 49,10.
L’invocazione, invece, domanda al Signore la liberazione dalle “tenebre e dall’ombra di morte”, espressione che compare frequentemente nella Sacra Scrittura (Is 42,7 Salmo 106 e finale del Benedictus).
In un’ottica pasquale, non si deve dimenticare che Cristo è chiave che apre all’uomo la salvezza, poiché con la sua discesa agli inferi, e sacramentalmente negli abissi del cuore umano, può realmente scardinare gli antri più oscuri dell’anima.
Queste chiavi sono affidate alla Chiesa, nel primato di San Pietro e dunque al corpo mistico di Cristo, il quale serve il suo Re che ha deciso di consegnare alla sua Sposa (la Chiesa) il potere di strappare figli alle tenebre.
Giovedì 19 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,5-25
La nascita di Giovanni Battista è annunciata dall'angelo.
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a
Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare
nel tempio del Signore per fare l'offerta dell'incenso.
Fuori, tutta l'assemblea del popolo stava pregando nell'ora dell'incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu
preso da timore. Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e
molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà
molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e
preparare al Signore un popolo ben disposto».
Zaccaria disse all'angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato
a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno
a loro tempo».
Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione.
Faceva loro dei cenni e restava muto.
Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei
giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».
Parola del Signore.
Le letture odierne pare ci vogliano mostrare l'ambiente umano, cioè uomini e donne che Dio sceglie per venire in soccorso al suo popolo e salvarlo dai suoi nemici. Due donne sterili e una vergine che non conosce uomo, saranno madri di portatori di salvezza. La porterà Sansone agli Israeliti oppressi dai Filistei, l'annunzierà imminente nel Messia Giovanni, e la porterà definitiva e universale Gesù. Gli uomini, custodi di queste madri e dei loro figli, sono giusti e pii, e anche a loro Dio dà la prova del suo intervento: Manoach vede l'angelo del Signore ascendere nella fiamma del sacrificio; Zaccaria diventa muto: ed ecco sarai muto fino al giorno in cui queste cose avverranno; Giuseppe è assicurato in sogno dall'angelo. Tutta la storia della Salvezza dimostra questo modo di agire di Dio. L'umiltà, la pietà e la giustizia sono le disposizioni che attirano su di noi lo sguardo dell'Onnipotente. Dio ha guardato l'umiltà della sua serva. Il Dio Fedele premia la fedeltà delle sue creature; l'Onnipotente rende ricco il povero e innalza l'umile; Egli rende feconda la sterile e fa gioire la desolata. La Liturgia ci invita a vedere il Natale sullo sfondo di tutta la storia della Salvezza e a collocare in essa la nostra storia personale e comunitaria. O Radice di Iesse, che t'innalzi come segno per i popoli: vieni a liberarci, non tardare. Buona giornata
Antifona maggiore del 19 dicembre
O Radix Iesse, qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos, iam noli tardare.
O Germoglio di lesse, che ti innalzi come segno per i popoli,
tacciono davanti a te i re della terra, e le nazioni t’invocano:
vieni a liberarci, non tardare.
Dopo aver passato in rassegna le prime due Antifone Maggiori, che facevano rispettivamente riferimento all’opera della Creazione e all’esodo del popolo d’Israele, con questa terza antifona l’attenzione si concentra sull’annuncio profetico, in particolare del Profeta Isaia (Is 11,10): In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.
Troviamo anche un altro passo dello stesso Profeta Isaia, più precisamente al cap. 52, cui si fa riferimento nell’Antifona O Radix. Si tratta dell’esaltazione del servo sofferente dopo l’umiliazione, che prefigura la morte e risurrezione di Cristo (Is 52,15): così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
L’invocazione finale si riferisce ad una profezia del Libro di Abacuc in cui il profeta invita ad attendere, anche se indugerà, la venuta del Signore. La stessa Profezia è richiamata in un delle 9 profezie che si cantano all’inizio della Novena: Si moram fecerit expecta eum quia veniet et non tarbit.
Mercoledì 18 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 1,18-24
Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, figlio di Davide.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché
era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il
bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele»,
che significa «Dio con noi».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Parola del Signore.
Per noi credenti l'espressione: «incinta per opera dello Spirito Santo» suona suadente e comprensiva perché la fede ci sostiene, ma come poteva Giuseppe, il promesso sposo di Maria, capire appieno quel grande mistero che si stava compiendo in lei? Le voci umane non sono assolutamente sufficienti a spiegare i misteri di Dio e gli occhi degli uomini si fermano talvolta, inesorabilmente, alle apparenze, da cui pensano di trarre l'evidenza dei fatti. Così gli uomini spesso si giudicano e si distruggono. Occorre perciò che a soccorso dei dubbi di Giuseppe intervenga ancora la voce di un Angelo del Signore a ripetere e scandire le verità riguardanti la prodigiosa maternità della vergine Maria. Ci sorprende nella vicenda il suo silenzio; viene da pensare che talvolta il Signore, prima ci coinvolge nei suoi misteriosi piani, mettendoci poi nei guai nei confronti degli uomini. Ancora una volta ci appare come i due protagonisti di un grande progetto di salvezza, siano coinvolti nella sofferenza del dubbio e nel rischio di un ripudio. Che sia un anticipo della passione del Cristo? Un invito a comprendere che per essere con lui sia necessario diventare realmente partecipi della sua storia? O forse ci si vuol dire che essere privilegiati da Dio non significa avere di conseguenza una garanzia di immunità dal dolore e dalla sofferenza? Certo è che la prediletta del Signore sarà la prima a condividere profondamente il martirio del figlio suo e la ritroviamo, dopo una serie di dolorose vicende, ai piedi della croce a offrire con gesto sacerdotale la vittima a Dio.
L’Antifona del 18 dicembre nella Novena di Natale
O Adonai, dux domus Israel,
qui Moysi in igne flammae rubi apparisti, et in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extento.
In italiano:
O Signore, guida della casa d’Israele,
che sei apparso a Mosè nel fuoco di fiamma del roveto e sul monte Sinai gli hai dato la legge:
vieni a liberarci con braccio potente.
Se il titolo di Sapienza annunciato nel primo giorno della Novena rimandava alla Sapienza creatrice di Dio e dunque alla storia delle origini, il titolo messianico dell’antifona odierna, Adonai
(Signore) è ripreso dal Libro dell’Esodo: in esso per la prima volta Dio si rivelò con tale appellativo a Mosè(Es 6,2).
L’espressione “in inge flammae rubi” indica l’apparizione di Dio a Mosé nel rovento ardente ma tale costruzione è presa dalla citazione del medesimo episodio nel discorso di Santo Stefano
in At 7,30.
L’invocazione finale “vieni a redimerci con braccio potente” potrebbe rimandare al canto di Mosé dopo la traversata del Mar Rosso in Esodo: tale affermazione acquista ulteriore senso dal momento
che il Signore è definito all’inizio dell’antifona “guida della casa d’Israele” (Es 15,12-13 “Guidasti con il tuo favore il popolo che hai riscattato”).
Martedì 17 dicembre 2024, inizio delle Ferie maggiori del Tempo di Avvento
Ferie maggiori – Le antifone “O”
Il mistero dell’incarnazione del Signore, che i cristiani hanno contemplato lungo il corso dei secoli colmi di stupore, ci chiama ogni anno a sostare nella contemplazione dell'abbassamento
di Dio nella carne del Figlio. Il Natale del Signore è perciò quell’adorabile mistero che la Chiesa celebra nella liturgia lasciandosi stupire per il dono di una Presenza.
I testi liturgici dell’Avvento ci preparano ad accogliere il Signore nel suo natale, soprattutto in questo ultimo tempo che manca al felice giorno, cioè nei sette giorni precedenti la
festa chiamati “Ferie maggiori” (dal 17 al 23 dicembre). Qui in modo particolare l’Ufficio ordinario dell’Avvento assume maggiore solennità attraverso una scelta di Antifone ai Salmi
proprie del tempo che parlano direttamente della grande Venuta. Inoltre in questi giorni, ai Vespri, si canta una grande Antifona che è un grido verso il Messia, un’invocazione accorata
della sua venuta nella quale la Chiesa si rivolge a Gesù ogni giorno con qualcuno dei titoli che gli sono attribuiti nella Scrittura. Queste antifone maggiori dell’Avvento delineano
gradualmente un percorso che ci porta dritto al cuore dell’imminente celebrazione del Natale, facendo crescere l’attesa e colmandola della Sua presenza.
Queste Antifone sono dette comunemente “antifone O” dell’Avvento, perché cominciano tutte con questa esclamazione “O…”. Chi di “O…” sta contemplando con il cuore colmo di stupore.
Infatti questi testi esprimono lo stupore commosso della Chiesa nella sua secolare, instancabile contemplazione del Mistero. La liturgia della Chiesa romana conosce sette antifone O,
una per ciascuna delle sette Ferie maggiori, e tutte sono rivolte a Gesù Cristo.
Sono una serie di invocazioni messianiche che implorano Colui che è promesso nell’AT perché venga a salvare il suo popolo.
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 1,1-17
Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb
generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa,
Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione
in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò
Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Parola del Signore.
L’evangelista Matteo per preparaci alla prossima venuta di Cristo, inizia il suo racconto con una lunga e, apparentemente, monotona genealogia; un elenco di nomi, di cui solo di alcuni ne conosciamo le storie e, tra l’altro, non tutte edificanti. Si parla di generazioni passate, appare però evidente come tutte siano orientate e convergano come un punto fermo ed ultimo della storia. Gesù Cristo, alfa e omega, principio e fine. L’insegnamento che possiamo ricavarne è di primaria importanza: sembra talvolta che gli eventi umani abbiano un corso segnato quasi esclusivamente da noi, per cui stentiamo a vederne gli sbocchi finali. Per noi è difficile saper rispondere alla domanda «dove va la storia?» Tale difficoltà dipende da una parte dai nostri limiti, non sappiamo leggere «i segni dei tempi», dall’altra, istintivamente, se non illuminati dalla fede, ci limitiamo e accontentiamo a registrare la cronaca quotidiana dei fatti. Il Vangelo ci sollecita fortemente a legare la storia a Dio e Dio alla storia. Questo è il motivo per cui gli eventi raccolti e narrati nella bibbia diventano storia sacra, proprio perché letti alla luce di Dio. La buona gente è solita dire, a mo’ di proverbio: «l’uomo propone e Dio dispone», oppure «non si muove foglia che Dio non voglia»; ciò è verissimo se sappiamo leggere la vita nostra personale e quella del mondo alla luce della salvezza e della redenzione. Noi, credenti in Cristo non possiamo neanche minimamente pensare che il mondo rimanga esclusivamente in balia degli uomini o che Dio ne perda il controllo. Solo Lui è in grado di coniugare, con l’infinita sua sapienza, la libertà degli uomini, anche di quelli che si rendono responsabili delle peggiori malvagità, è il suo progetto universale di salvezza. La venuta del Figlio suo Gesù Cristo, ormai prossima, serva a ripeterci questa indispensabile garanzia che la storia, anche quella dei nostri giorni, è nelle mani di Dio. Buona giornata
Lunedì 16 dicembre 2024, inizio della Novena di Natale
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 21,23-27
Il battesimo di Giovanni da dove veniva?
In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa
autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli
uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano
Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
Parola del Signore.
La gente umile, dal cuore semplice, si accorge
immediatamente che il parlare di Cristo è diverso da quello degli scribi e dei farisei: «Rimanevano colpiti dice l’evangelista – dal suo insegnamento, perché parlava con autorità e non come i
loro scribi». Non era perciò necessario interrogare Cristo come fanno i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo, sarebbe stato sufficiente aprire mente e cuore per comprendere l’autenticità e la
novità del suo messaggio. L’evangelista Marco ci riferisce ad ulteriore conferma che «il Signore operava insieme con loro (con gli apostoli) e confermava la parola con i prodigi che
l’accompagnavano». Tutta la vita di Cristo è una splendida ed inequivocabile conferma della divina autorità che egli esercita per illuminare i cuori e redimere l’uomo dal peccato. È una autorità
umano divina, che menava dalla sua persona, dalle sue parole e dalle sue opere. Un saggio proverbio popolare afferma però che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ci si turano le
orecchie quando in chi parla vediamo un avversario o una persona che apertamente svela i nostri cattivi comportamenti e ci mette in crisi. Si turano orecchie, cuore e mente a chi vede insidiata
la propria egemonia o compromesso il proprio potere; anche a chi, pur ammettendo la verità, non ha il coraggio di conformare la propria vita agli insegnamenti che gli vengono proposti si turano i
sensi dell’anima. Ciò accade anche ai nostri giorni: esistono ancora i contestatori di mestiere, esistono ancora i sordi cronici ed inguaribili, che hanno sempre una verità diversa da proporre
purché sia contraria a quella che viene proclamata. Se ciò è grave nei confronti degli uomini diventa peccaminoso nei confronti di Cristo. Egli incarna la verità, è la Verità. È la luce del mondo
che illumina ogni uomo. Non dovrebbe più accadere che gli uomini, noi, preferiamo le tenebre alla Luce. Potremmo far trascorrere invano un altro Natale! Buona giornata
Domenica ("Gaudete") 15 dicembre 2024, III° di Avvento
Dal Vangelo secondo Luca Lc 3,10-18
E noi che cosa dobbiamo fare?
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui
che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento
nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Parola del Signore.
L’insegnamento di Cristo, la nostra libera adesione alla sua dottrina, assunta con il battesimo e ribadita con la Cresima, implicano la nostra continua conversione. Un salmo definisce la Parola di Dio «lampada ai miei passi, luce sul mio cammino». Ciò vuol dire che tutta la nostra vita deve orientarsi a Dio e questo accade realmente soltanto quanto alla fede seguono le opere. La prima virtù da praticare è però la carità, che è amore, gratitudine e lode a Dio e rispetto del nostro prossimo, che amiamo con lo stesso amore. Ecco allora il senso dell’insegnamento di Giovanni Battista: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Per aprirsi al Signore bisogna uscire dalla morsa dell’egoismo. Soltanto dando amore agli altri siamo irrorati a nostra volta dalla grazia divina. La stessa efficacia dei sacramenti è in parte condizionata dalle nostre interiori disposizioni. Lo stesso Natale influirà salutarmene su di noi se disponiamo il nostro animo all’accoglienza del Signore che viene. Il battesimo in Spirito Santo e fuoco sarà la nostra energia, la nostra luce, la fonte del nostro bene, se con umiltà accettiamo l’umiltà e l’immensità del presepio. Solo lì le grandezze frivole del mondo e tutte le umane presunzioni vengono infrante. Il Battista afferma questa verità dicendo che la pula sarà separata da grano e arsa nel fuoco inestinguibile. Nella fredda grotta del Presepio già arde il fuoco che è e sarà per noi irrorazione dello Spirito e fuoco sacro per ardere di amore divino. Buona Domenica
Sabato 14 dicembre 2024, Memoria di San Giovanni della Croce, Presbitero e Dottore della Chiesa
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 17,10-13
Elìa è già venuto, e non l'hanno riconosciuto.
Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?».
Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio
dell'uomo dovrà soffrire per opera loro».
Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.
Parola del Signore.
L’israelita fedele, quando sente ormai prossima la sua fine nel tempo, ripete per tre volte: “E’ venuto, è venuto, è venuto”. L’allusione evidentemente è rivolta al Messia e vuole essere un atto di fede finale nel dubbio che l’atteso delle genti sia nato e non sia stato visto, accolto e riconosciuto. Il monito del Vangelo di oggi è rivolto a noi distratti e disattenti ai passaggi del Signore e dei suoi profeti. Anche noi potremmo meritare il rimprovero di Gesù: sono venuto e non mi avete riconosciuto. “Ho paura del Signore che passa”, affermava Sant’Agostino; il timore dovrebbe essere maggiore in noi, ancora più facilmente vittime di imperdonabili distrazioni. Dio parla e ci parla in molti modi. Media la sua parola con gli eventi della storia e con le voci dei suoi profeti, ma è la sua voce, il suo messaggio che è per noi e attende risposte di gratitudine e di libera adesione a Lui. Ci parlerà ancora con il Suo natale. A noi la risposta generosa e riconoscente. Buona giornata
Venerdì 13 dicembre 2024, Memoria di Santa Lucia, Vergine e Martire
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 11,16-19
Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell'uomo.
In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
"Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!".
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "È indemoniato". È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di
peccatori".
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
Parola del Signore.
C’è per noi il rischio, a causa delle nostre distrazioni, di non accorgerci degli inviti e delle celesti sollecitazioni che il buon Dio ci offre ripetutamente. Non danziamo nella gioia, non siamo partecipi del lutto. È l’apatia del cristiano, dell’uomo in genere che non è più capace di meravigliarsi di Dio, non è più partecipe del suo pianto. Gli apatici sembra siano in numero crescente su questo nostro pianeta, l’indifferenza è un grave peccato quando è rivolta a Dio, che mai cessa di trasfonderci la vita e la grazia. Perfino di fronte al Natale, all’evento più meraviglioso e coinvolgente della storia si può rimanere indifferenti, distratti, apatici. In questo è racchiusa la più grande infelicità del mondo, privi di gioia e di esaltanti emozioni, si piomba nel baratro del nulla, del fatuo, dell’evanescente. Ecco perché sin dalle prime battute dell’Avvento siamo stati sollecitati a svegliarci dal sonno con la promessa di una liberazione vera e totale! Buona giornata
Giovedì 12 dicembre 2024, Memoria della Beata Vergine Maria di Guadalupe
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,11-15
Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista.
In quel tempo, Gesù disse alle folle:
«In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.
Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell'Elìa che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
Parola del Signore.
“Non è sorto uno più grande di Giovanni Battista”: è l’elogio che Gesù tesse per colui che grida la sua presenza e l’addita al mondo come l'”Agnello” che toglie il peccato dal mondo. È l’elogio della fede autentica e del testimone coraggioso, da annoverare tra coloro che s’impadroniscono del Regno di Dio. Possiamo dire che Giovanni giunge anzitempo alla grotta e s’impegna personalmente a spianare la via al Signore, pronto poi a scomparire quando egli si manifesterà al mondo. Giovanni impersona la figura di Elia, del grande profeta rapito su un carro di fuoco e che deve tornare alla fine dei tempi. Profezia e realtà s’intrecciano misteriosamente nell’evento del natale di Cristo! Ancora una volta Egli viene, ci sollecita ad un incontro nelle fede per renderci suoi testimoni dinanzi al mondo. Buona giornata
Mercoledì 11 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 11,28-30
Venite a me, voi tutti che siete stanchi.
In quel tempo, Gesù disse:
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra
vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Parola del Signore.
C’è un bell’invito oggi per tutti noi che stiamo, giorno dopo giorno, entrando nel clima natalizio, carichi dei nostri fardelli e spesso affaticati e oppressi dalle alterne vicende della nostra vita: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». La nostra vita è un libro sempre aperto per il Signore: egli sa delle nostre vicende personali, legge ad ogni istante la storia del mondo ed è costante la sua cura paterna per tutti e per ognuno di noi. Cristo viene a redimere la nostra storia e ci sollecita ad andare con fiducia da lui per liberarci dalle nostre stanchezze e dalle nostre oppressioni. Egli sa che non siamo capaci a portare da soli certi pesi, né siamo capaci di liberarci dalle nostre stanchezze e dalle nostre infelicità e oppressioni. Abbiamo bisogno di un rifugio e di un ristoro sicuri, di una consolazione vera e di una gioia autentica e duratura. Il giogo che egli ci affida, la fatica del nostro ritorno a lui e l’impegno necessario per seguire i suoi precetti è “dolce” e “leggero”, perché quel peso e quella fatica se la uniamo alla grande fatica che egli ha sostenuto per noi, portando con la croce, i pesi più grandi, i nostri peccati, concorre ancora ad essere motivo di salvezza e di redenzione. Gesù si definisce “mite ed umile di cuore”, proponendosi come nostro modello e indicandoci la via per andare da lui: occorrono mitezza ed umiltà, le virtù che frenano le nostre inquietudini e ci predispongono ad una vera comunione con Cristo e con i nostri fratelli. Buona giornata
Martedì 10 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18,12-14
Dio non vuole che i piccoli si perdano.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
Parola del Signore.
Percepiamo spesso quel particolare tipo di smarrimento che deriva proprio dal primo peccato e da quelli attuali che ci affliggono. L’esperienza del peccato è la forma peggiore di angoscioso disorientamento che possiamo sperimentare: lontani da Dio, nudi e spauriti, perdiamo la percezione della nostra vera identità e della nostra dignità, perdiamo il rapporto di comunione con Dio, con i nostri fratelli e perfino con noi stessi. È consolante sapere da tutta la storia, che lo stesso Signore si è posto fin dal principio alla nostra ricerca e ha intessuto un piano di salvezza e di recupero dell’umanità, che ha avuto il suo culmine con la morte del pastore buono che s’immola sulla croce per le sue pecorelle. Cristo, anche per una sola delle sue pecore, avrebbe dato la vita pur di riaverla sana e salva nell’ovile. Lo afferma esplicitamente lo stesso Signore: “il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli”. La volontà di Dio è chiara: egli vuole che tutti siano salvi e i dispersi siano cercati e ritrovati, anche a costo della vita del Figlio suo. Ciò perché non manchi mai il motivo della gioia e della festa. “Se gli riesce di trovarla, – dice ancora Gesù – in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite”. È la gioia umana e divina, è il noto banchetto organizzato per il figlio che ritorna dopo l’abbraccio e il perdono paterno; è un anticipo e un “segno” della festa pasquale, della risurrezione finale, a cui tutti tendiamo. È anche la misura vera del nostro valore agli occhi di Dio! La stima e l’amore che egli nutre per ciascuno di noi! Buona giornata
Lunedì 9 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 5,17-26
Oggi abbiamo visto cose prodigiose.
Un giorno Gesù stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva
operare guarigioni.
Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla,
salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza.
Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se
non Dio soltanto?».
Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire "Ti sono perdonati i tuoi peccati", oppure dire "Alzati e cammina"? Ora,
perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te - disse al paralitico -: alzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si
alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio.
Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».
Parola del Signore.
Un paralitico, nel suo stato di immobilità fisica, muove a compassione alcuni amici, che faticosamente lo conducono da Gesù, calandolo dal tetto, nel mezzo della stanza dove il Signore stava insegnando. Gesù resta ammirato della loro fede e pronuncia una frase che più che di guarigione parla di assoluzione (più che della guarigione fisica parla della guarigione spirituale): «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». L’immobilità più penosa non è quindi quella del corpo, ma piuttosto quella causata dal peccato. Mentre siamo in cammino verso la grotta di Betlemme, è urgente per noi recuperare l’interiore libertà dello spirito con una completa purificazione che solo la misericordia divina può garantirci. Chiediamo la sua misericordia. Quanti sacerdoti attendono in confessionale per ripeterci la frase detta da Gesù: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati», Buona giornata
8 dicembre 2024, II° Domenica di Avvento Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,26-38
Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te.
In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine,
promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un
figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era
detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore.
Oggi contempliamo la bellezza di Maria Immacolata. Il Vangelo, che narra l'episodio
dell'Annunciazione, ci aiuta a capire quello che festeggiamo, soprattutto attraverso il saluto dell'angelo. Egli si rivolge a Maria con queste parole: «Rallegrati, piena di grazia: il
Signore è con te». Prima di chiamarla Maria, l'arcangelo Gabriele la chiama «piena di grazia», e così rivela il nome nuovo che Dio le ha dato e che le si addice più del nome datole dai
suoi genitori. Anche noi la chiamiamo così, ad ogni Ave Maria.
Che cosa vuol dire piena di grazia? Che Maria è piena della presenza di Dio. E se è interamente abitata da Dio, non c'è posto in lei per il peccato. È una cosa
straordinaria, perché tutto nel mondo, purtroppo, è contaminato dal male. Ciascuno di noi, guardandosi dentro, vede dei lati oscuri. Anche i più grandi santi erano peccatori e tutte le realtà,
persino le più belle, sono intaccate dal male: tutte, tranne Maria. Lei è l'unica "oasi sempre verde" dell'umanità, la sola incontaminata, creata immacolata per accogliere pienamente, con
il suo "sì", Dio che veniva nel mondo e iniziare così una storia nuova.
Ogni volta che la riconosciamo piena di grazia, le facciamo il complimento più grande, lo stesso che le fece Dio. Un bel complimento da fare a una signora è
dirle, con garbo, che dimostra una giovane età. Quando diciamo a Maria piena di grazia, in un certo senso le diciamo anche questo, al livello più alto. Infatti la riconosciamo sempre giovane,
perché mai invecchiata dal peccato. C'è una sola cosa che fa davvero invecchiare, invecchiare interiormente: non l'età, ma il peccato. Il peccato rende vecchi, perché sclerotizza il cuore. Lo
chiude, lo rende inerte, lo fa sfiorire. Ma la piena di grazia è vuota di peccato. Allora è sempre giovane, è «più giovane del peccato», è «la più giovane del genere umano» (cf G.
Bernanos, Diario di un curato di campagna, II, 1988, p. 175).
La Chiesa oggi si complimenta con Maria chiamandola tutta bella, tota pulchra. Come la sua giovinezza non sta nell'età, così la sua bellezza non
consiste nell'esteriorità. Maria, come mostra il Vangelo odierno, non eccelle in apparenza: di semplice famiglia, viveva umilmente a Nazareth, un paesino quasi sconosciuto. E non era famosa:
anche quando l'angelo la visitò nessuno lo seppe, quel giorno non c'era lì alcun reporter. La Madonna non ebbe nemmeno una vita agiata. La sua fu una vita di preoccupazioni e timori: fu «molto
turbata», scrive l'evangelista Luca, e quando l'angelo «si allontanò da lei», i problemi aumentarono. Non dimentichiamoci che Giuseppe voleva ripudiarla in segreto: «Giuseppe suo
sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e
gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati"» (cf. Mt 1,19-21).
Tuttavia, la piena di grazia ha vissuto una vita bella. Qual era il suo segreto? Possiamo coglierlo guardando ancora alla scena dell'Annunciazione. In molti
dipinti Maria è raffigurata seduta davanti all'angelo con un piccolo libro in mano. Questo libro è la Scrittura. Così Maria era solita ascoltare Dio e intrattenersi con Lui. La Parola di Dio era
il suo segreto: e questa Parola vicina al suo cuore, prese poi carne nel suo grembo. Rimanendo con Dio, dialogando con Lui in ogni circostanza, Maria ha reso bella la sua vita. Non l'apparenza,
non ciò che passa, ma il cuore puntato verso Dio fa bella la vita. Guardiamo oggi con gioia alla piena di grazia. Chiediamole di aiutarci a rimanere giovani, dicendo "no" al peccato, e a
vivere una vita bella, dicendo "sì" a Dio facendo ogni giorno la sua santa volontà. Amen! Buona Domenica dell’Immacolata
Sabato 7 dicembre 2024, Memoria di Sant'Ambrogio, Vescovo
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 9,35-38-10,1.6-8
Vedendo le folle, ne sentì compassione.
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate
dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti,
purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Parola del Signore.
È commovente questo sguardo di Gesù sulle folle. Egli sente compassione di noi, condivide il nostro travaglio, le nostre pene, ci vede stanchi e sfiniti. Mancano i pastori e il gregge è disperso, vaga senza mèta, senza trovare pascolo. “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” eppure molti se ne stanno oziosi sulla piazza, ancora non hanno sentito il richiamo di andare a lavorare nella vigna del Signore. O forse sono come gli invitati alle nozze che accampano scuse di ogni genere per dissertare l’invito. Gesù così ci sollecita: “Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”. È il Signore che chiama, solo la sua voce divina può convincere i convocati a lasciare tutto per seguirlo. Gesù chiama ancora a sé i pochi che hanno risposto generosamente al suo invito per affidare loro il suo mandato e inviarli nelle strade del mondo, come pastori delle pecore disperse. “Strada facendo” debbono dare a tutti una buona e grande notizia: “Predicate che il regno dei cieli è vicino”. L’annuncio deve essere confermato con segni e prodigi, gli stessi che Gesù va operando per i villaggi e le città della Palestina: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni”. L’annuncio e l’avvento del regno si manifestano con una novità di vita, come guarigione dai mali dell’anima e del corpo e come una risurrezione. I doni di Dio non hanno prezzo, non possono e non debbono essere mercanteggiati, perciò Gesù avverte i suoi: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Anche la gratuità fa parte dei segni che debbono accompagnare l’avvento del Regno, è una dimostrazione visibile della magnanimità di Dio e dell’autenticità dell’annuncio. Buona giornata
Venerdì 6 dicembre 2024, Memoria di San Nicola, Vescovo
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 9,27-31
Gesù guarisce due ciechi che credono in lui.
In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!».
Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.
Parola del Signore.
Ci penetrano nel profondo le urla dei due ciechi del vangelo di oggi: il buio degli occhi e, ancor più quello dell’anima, creano lo strazio interiore, quello che induce appunto a urlare, a chiedere pietà. Gesù aveva già dichiarato che lo scopo della sua venuta, come aveva profetato Isaia, è quello di ridare la vista ai ciechi. Fa sì che i due si accostino a lui…, è il primo passo da fare per riaprirsi alla luce…, e cerca di far scaturire dal loro buio il chiarore della fede e li interroga: «Credete voi che io possa fare questo?» Il loro “sì” fiducioso fa sgorgare dal Cristo il dono della vista e la pienezza della fede: “«Sia fatto a voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi”. Coloro che sono gratuitamente beneficiati dal Cristo, coloro che hanno il dono della fede non possono e non debbono tacere. Così hanno fatto i due illuminati da Cristo, così affermavano i primi apostoli, così anche «noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Per chi crede deve essere necessario, urgente rendere testimonianza di quanto ha ricevuto. Buona giornata
Giovedì 5 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7,21.24-27
Chi fa la volontà del Padre mio, entrerà nel regno dei cieli.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i
venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e
si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Parola del Signore.
La Liturgia della parola di oggi ci presente due fatti differenti: da una parte l’incredulità dell’uomo e dall’altra il suo fondamento, la necessità di fondamento sulla roccia. Il primo ci ricorda l’evento catastrofico di Babilonia nel quale l’uomo fondò la sua radice nella sicurezza su se stesso, sugli idoli e quindi ha rotto la sua alleanza con il Signore, subendone anche le conseguenze. Il profeta Isaia, per volontà del Signore, annunzia e proclama la grande rivelazione che la sicurezza dell’uomo viene da Dio e dalla fedeltà a lui, la vera garanzia di vita. Aggiunge poi il salmista che “è meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo”. Tutto questo per Matteo, è il punto di partenza sull’ascolto docile della parola del Signore e il presupposto per metterla in pratica. L’uomo fidandosi di Dio realizza pienamente la sua alleanza perenne, la sua adesione intima, fonda cioè la sua vita sulla roccia, che è Cristo, Figlio Unico, pietra angolare su cui il Padre costruisce la sua forte dimora e città del suo popolo. Buona giornata
Mercoledì 4 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 15,29-37
Gesù guarisce molti malati e moltiplica i pani.
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò
molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli
zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.
Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano
meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava
ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Parola del Signore.
La scena che oggi ci presenta il vangelo è fonte di grande speranza per noi credenti in Cristo, ma anche per tutta l’umanità: molta gente, una grande folla, si raduna intorno a Gesù “recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì”. Il redentore, che si era autodefinito “medico”, adempie così la sua missione: guarisce i corpi malati, suscita la fede nei presenti, ridona la vista ai ciechi… Quest’opera divina non è mai cessata: è ancora Lui che sana corpi e anime, è ancora lui a sentire compassione di tutte le nostre miserie e di tutte le nostre infermità. Ha compassione anche della nostra fame e, come allora, è ancora lui che è miracolosamente provvido per soccorrere tutte le nostre necessità fisiche e spirituali. Dinanzi alla folla di allora, dinanzi agli affamati di oggi, egli ripete ancora: «Sento compassione di questa folla… non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada». Se però molti svengono e muoiono lungo le strade del mondo, ciò è dovuto ai nostri egoismi, alla mancanza di amore a Dio e al nostro prossimo. Troppo spesso e per troppo tempo lasciamo gemere nell’attesa i poveri del mondo. Dobbiamo ancora accrescere e dilatare la catena della solidarietà e godere nel costatare come anche oggi i miracoli della carità cristiana, diventino motivo di fede nell’unico vero Dio. Gesù così ha pregato per noi: “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” Buona giornata
Martedì 3 dicembre 2024, Memoria di San Francesco Saverio, Presbitero
Dal Vangelo secondo Luca Lc 10,21-24
Gesù esultò nello Spirito Santo.
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e
ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Parola di Dio.
L’evangelista Luca nel brano odierno illustra la rivelazione di Gesù in chiave di dono, di grazia perfetta a coloro che sanno accogliere e ascoltare la sua parola. Questa accoglienza si rivela soltanto ai piccoli, agli umili e ai semplici di cuore, come gli apostoli e la Santa Vergine, che hanno riconosciuto la loro inadeguatezza dinanzi a Dio e si sono aperti alla Sua parola. Con tutto questo l’evangelista ci vuole significare un rapporto intimo di conoscenza amorosa che passa tra il Padre e il Figlio e viene partecipato anche ai piccoli e ai poveri. Oggi questo brano del vangelo non è riservato soltanto a loro, ma si rivolge anche a noi, cioè a tutti i cristiani al fine di porre una attenzione particolare all’ascolto della parola del Signore ed essere umili nei confronti di Dio e del prossimo. Buona giornata
Lunedì 2 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 8,5-11
Molti dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli.
In quel tempo, entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse:
«Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati
sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fà questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno
dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
Parola del Signore.
Il tempo di avvento, il tempo di attesa è un tempo di conversione, di riflessione, che si apre con la predicazione gioiosa del vangelo di Matteo, cioè una salvezza che viene offerta all’umanità intera, non soltanto agli Ebrei. Perciò il profeta Isaia invita tutto il popolo alla conversione totale, alla purificazione, alla riconciliazione per accogliere il dono di Dio che è un gesto d’amore infinito e di affetto. Con questo atto di libertà, l’evangelista Matteo ci mostra la grande misericordia di Cristo che è senza limite e senza barriere, cioè il Cristo non guarda la razza, la nazione, la lingua. Egli vede soltanto il cuore dell’uomo, la sua fede. Questo per dire che la sua visione di messia va al di là delle divisioni umane, politiche e religiose. Il Signore accoglie nel suo regno chiunque riconosce di aver bisogno di lui, e si affida totalmente alla sua parola. Preghiamo oggi per tutti coloro che sono in ricerca, non necessariamente battezzati come noi: possano anche loro, come il centurione romano del vangelo di oggi, riscoprire la bellezza della fede in Gesù che accoglie tutti e salva tutti. Buona giornata
Domenica 1 dicembre 2024, I° di Avvento
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,25-28.34-36
La vostra liberazione è vicina.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di
ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio
infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e
di comparire davanti al Figlio dell'uomo».
Parola del Signore.
Le letture cosiddette apocalittiche, ci inducono quasi sempre a pensieri catastrofici di ordine naturale, quelli che in una certa misura sempre ci accompagnano. Il messaggio essenziale è però di natura spirituale: riguarda quell’ordine meraviglioso che lo stesso Signore aveva predisposto sin dal principio con la creazione e che è stato ed è ancora sconvolto da peccato del mondo e dalle nostre assurde ribellioni. I cuori appesantiti, le ubriachezze e gli affanni della vita ci piombano addosso improvvisamente se non siamo attenti e vigilanti. Quando escludiamo Dio dalla nostra vita e dalla nostra storia le catastrofi peggiori incombono su di noi. Quando presumiamo di portare da soli i nostri pesi richiamo di restarne schiacciati e sepolti. Dobbiamo imparare a leggere in modo sapiente la nostra storia. Non ci è più lecito trovare spiegazioni dei peggiori disastri soltanto negli intrighi e nelle malvagità degli uomini. Dobbiamo leggerli soprattutto come salutari avvertimenti e trarne motivi di definitive conversioni. Non possiamo più fermarci a superficiali visioni escludendo categoricamente l’intervento divino. Gesù ci ammonisce in proposito dicendoci che in concomitanza degli sconvolgimenti si appressa anche la nostra liberazione. È accaduto già quando il Figlio di Dio è stato appeso ad una croce e calato in un sepolcro: in quella circostanza davvero le potenze dei cieli sono state sconvolte dall’umana ferocia, ma per quella via assurda è giunta a noi la piena e totale liberazione. Pare che oggi si voglia ripetere quella crocifissione, si voglia ancora chiudere Dio in un sepolcro e decretarne la fine. Dobbiamo invece alla luce della storia, di quell’evento e del nostro avvento, sperare e credere che il tempo di Dio è vicino a noi più di quanto osiamo sperare. Così noi cristiani iniziamo questo periodo che ci conduce ad una nascita e ad una rinascita alla luce di un umile presepio, lì dove la vita ha ripreso a pulsare in tutta la sua intensità. Buona Domenica
Sabato 30 novembre 2024, Festa di Sant'Andrea, Apostolo
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 4,18-22
Essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse
loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito
lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Parola del Signore.
È difficile per noi immaginare come una voce, un invito, un richiamo possa essere decisivo per la vita di una persona. Solo pensando al fascino che Gesù esercitava con tutta la sua persona, e con la sua divina autorità, riusciamo a comprendere come semplici e rozzi pescatori, abbiano potuto, senza esitazione, lasciate le reti, e con esse tutte le loro umane sicurezze, mettersi alla sua sequela. È evidente che l’eco di quanto il Maestro di Nazareth andava facendo e dicendo, fosse arrivato anche sulle spiagge del lago di Tiberiade, anche agli orecchi e al cuore dei due fratelli pescatori Pietro e Andrea. Resta comunque vero che per giungere alla determinazione di “lasciare tutto”, cambiare completamente vita, occorre una grandissima fiducia in colui che chiama. A maggior ragione se si pensa che Gesù non fa promesse, non dà sicurezze, non offre compensi, anzi ad uno scriba che esprime il desiderio di volerlo seguire dice: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A Pietro e ad Andrea ha da scandire solo una proposta, non di immediata comprensione: “Vi farò pescatori di uomini”. “Ed essi subito, lasciate le reti lo seguirono”. Gesù non si ferma! “Andando oltre vide altri due fratelli”. Davvero è andata oltre quella voce suadente: quanti e quante hanno sentito lo stesso invito di Andrea e con la stessa sollecitudine, hanno lasciato tutto per seguirlo. Questo ricordo degli apostoli ci sprona a rendere grazie per la chiamata e per tutte le chiamate. Ringraziamo perché sul fondamento degli apostoli poggia la nostra fede. Ringraziamo tutti coloro che in modi e momenti diversi offrono la stessa loro preziosa testimonianza. Ringraziamo il buon Dio se ciascuno di noi si sente concretamente impegnato a vivere ed annunciare la stessa fede trasmessa da Andrea a da tutti gli apostoli. Buona giornata
Venerdì 29 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,29-33
Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate
che il regno di Dio è vicino.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Parola del Signore.
Abbiamo imparato senza sforzi a comprendere l’avvicendarsi delle stagioni attraverso i segni che la natura stessa spontaneamente ci fornisce. Quando il fico comincia a mettere fuori i propri fiori che saranno il frutto gradevole che conosciamo, diciamo che l’estate è vicina. I fatti che accadono intorno a noi e dentro di noi hanno pure un loro linguaggio. L’avvento del Regno ha le sue concrete manifestazioni nella storia, anche se percepirne i segni, non può essere frutto di un intuito umano. È come un granellino di senapa gettato nel campo, quasi invisibile ad occhio nudo; occorrerà quindi del tempo prima che cresca e diventi un arbusto. Occorre quindi la luce dello Spirito e la divina sapienza per avvertirne la presenza e la crescita. L’arrivo e lo schieramento dell’esercito romano preannuncerà la prossima distruzione di Gerusalemme. L’espandersi del messaggio di Cristo tra le genti, anche se tra inevitabili persecuzioni e lotte, sarà il segno che Dio sta recuperando spazio nella storia del mondo e nei cuori degli uomini. I cambiamenti saranno radicali, le novità importanti e fondamentali esigono che le cose vecchie scompaiano per far posto al nuovo. La Verità esalta e distrugge allo stesso tempo, ma l’unico risultato è appunto l’avvento del Regno, la conferma della storia alle verità perenni di Cristo. Il mondo subirà le sue trasformazioni cosmiche nel corso dei secoli, i cieli e la terra passeranno, ma, Gesù ci dice: “Le mie parole non passeranno”. Siamo quindi confortati da verità perenni ed inconfutabili. Una di queste ci ripete, in questi giorni conclusivi dell’anno in cui spesso ascoltiamo profezie di eventi catastrofiche: “Non temete, Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Buona giornata
Giovedì 28 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,20-28
Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la
città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai
alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le
nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di
ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad
accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore.
La liturgia della Parola odierna ci offre uno spettacolo raccapricciante di rovina e di distruzione. Giovanni nell’Apocalisse ci descrive la distruzione di Babilonia, volendo indicare con questo nome la potenza di Roma che tanto sangue di martiri ha fatto scorrere nei primi tre secoli della Chiesa. La descrizione ha una forza espressiva impressionante: una grossa pietra viene gettata in mare indicando che con la stessa violenza precipiterà nella rovina la grande città, forse Roma pagana. Da ora in poi in essa regnerà sovrano il silenzio e la morte e diventerà covo di demoni e di animali immondi. Chi conosce la storia di Roma dopo la caduta dell’Impero troverà in questa previsione la conferma nei dati dei fatti. I redenti dal Signore invece intoneranno un inno di lode e di ringraziamento a Dio. Anche in Luca si parla di distruzione, però quella di Gerusalemme che avverrà con estrema violenza e sofferenza. Un avviso per i credenti di allora. Non recatevi a Gerusalemme, allontanatevene se vi trovate entro le sue mura. I suoi abitanti saranno passati a fil di spada e i superstiti, recati prigionieri in tutti i paesi. La storia ci informa che questa immane distruzione avvenne per opera di Tito negli anni 70 dopo la nascita di Gesù. Molti prigionieri furono portati a Roma a costruire il grande Colosseo. La storia degli uomini nei suoi ricorsi ci fa rivivere queste immani tragedie: imperi e uomini che sembravano eterni sono spazzati via dalla faccia della terra, esecrati per la loro tirannia totalitaria. Se ce ne fosse bisogno, anche questa ineluttabile scomparsa di super potenze e super uomini ci confermano nella fiducia di essere tra gli invitati al banchetto dell’Agnello” o anche vedere prossima la nostra liberazione quando vedremo accadere segni particolari, premonitori della prossima fine di questo mondo: “Alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina. Per chi si fida di Dio, ogni avvenimento viene letto come un suo atto di amore. Anche la mia fine, nella volontà del Signore. Buona giornata
Mercoledì 27 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,12-19
Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare
testimonianza.
Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà
perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Parola del Signore.
La visione che ci presenta l’odierna Liturgia della Parola, mentre ci porta a contemplare le meravigliose opere di Dio, rapendoci al di sopra della volta celeste, annuncia anche le dure prove riservate a chi vuol servire il Signore. È meravigliosamente bello poter unire la nostra voce con quella dello stuolo innumerevole di fedeli che hanno vinto la santa battaglia della vita, che non si sono lasciati ingannare dalle attrattive del male e quindi rendono grazie a Dio per la sua protezione. Grandi e meravigliosi le opere di Dio! Non solo le opere della creazione, ancor più quelle della redenzione dell’uomo. Tutte le genti alla fine dovranno riconoscere che solo il nostro Dio ha giusti giudizi e quindi dinanzi a Lui si prostreranno perché lui solo è santo e degno di adorazione. Ma quale la via che viene indicata per raggiungere questa beata assemblea? Ce lo dice San Luca: persecuzioni, prigioni, giudizi dinanzi a sinagoghe e governatori… Non basta! Anche qualche cosa di più grave e di inaudita sofferenza: tradimenti da parte di genitori, fratelli, parenti e amici: pena di morte per alcuni, per tutti odio a causa del nome di Gesù. In questi tragici eventi agli amici di Dio verrà data l’opportunità di rendere testimonianza alla verità, senza che si diano pensiero di preparare difesa alcuna. Parlerà lo Spirito di Gesù che non permetterà che non cada nemmeno un capello dal capo dei suoi amici. Dinanzi a questa previsione di Gesù, non si deve fare molto sforzo per vedere anche nei giorni nostri la verifica di quanto viene annunciato: persecuzioni contro la Chiesa e il Papa nel nostro mondo occidentale, tanto da voler distruggere con accanimento l’opera del Signore, prendendo pretesto da debolezze umane; persecuzione e martirio nelle regioni musulmane dove i seguaci di Gesù sono discriminati, impediti nella preghiera, perseguitati, messi a morte, costretti alla fuga o a una vita di terrore con chiese date alle fiamme, villaggi distrutti, privati dei diritti umani, derubati dei loro beni, tutto con la indifferenza di governi e di autorità civili. Ma la fiducia nella Parola del Signore dà sempre certezze di vittoria. La morte offre la corona del martirio, la spogliazione di beni, eterna gloria nei cieli, la persecuzione rende simili a Cristo, incompreso dal suo stesso popolo, rifiutato, crocifisso ma fatto risuscitare dal Padre e seduto sul trono per l’eternità. Buona giornata
Martedì 26 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-11
Non sarà lasciata pietra su pietra.
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su
pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel
mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è
subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi
dal cielo.
Parola del Signore.
Siamo ormai abituati a notizie catastrofiche. Basta aprire il giornale, radio oppure telegiornale per restare sconvolti. Le notizie, anche più macabre rimbalzano, si rincorrono, si accavallano, lasciando nell’animo un senso di disgusto, dal quale siamo subito distolti da notizie di ben altro genere: scandali, tragedie familiari, storie di amore, fame nel mondo, visione di innocenti affamati con la pancia gonfia, magari assaliti da una nuvola di mosche, anch’esse affamate… Si avvicina il giudizio di Dio. Il Figlio dell’uomo ha una corona d’ora e in mano una falce ben affilata. Gli esecutori della sua giustizia sono quattro angeli con altrettante falci, ognuno con compiti particolari ben precisi di distruzione. Non dovremmo ascoltare con la stessa leggerezza l’annunzio di un giudizio che si prospetta così severo. I giudicati sono io, siamo tutti noi. Si parla di spada affilata che viene a purificare il mondo, di rumori di guerre, di distruzioni e di sofferenze, perfino di falsi profeti che nella confusione aggiungono ancora angoli di oscurità. Suonerebbe quasi ironica la frase di Gesù: Non lasciatevi incantare da questi falsi profeti. State tranquilli. È invece un avvertimento saggio, e rassicurante, fondato non tanto sulla nostra bravura o sul nostro coraggio quanto sulla sua parola di verità, che può salvare anche in mezzo alle più catastrofiche distruzioni. Da noi si attende fiducia e rettitudine nella vita civile e in quella di fede. La scrittura ci dà un avvertimento: se non vogliamo essere giudicati da Dio, giudichiamoci da noi stessi con umiltà e sincerità. Egli accoglierà il nostro pentimento. Buona giornata
Lunedì 25 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,1-4
Vide una vedova povera, che gettava due monetine.
In quel tempo, Gesù alzati gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.
Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta
parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».
Parola del Signore.
Il vangelo di oggi suscita nell’ascoltatore un sentimento di benevolenza verso la povera vedova che, confusa tra ricchi che fanno risuonare le loro monete, getta quasi furtivamente i suoi due spiccioli nel tesoro del tempio. Eppure quel “tic” fatto dalla sua offerta suona più forte degli altri. Non solo, attira l’attenzione del Signore Gesù, che richiama quella dei suoi discepoli notando come lei abbia donato più di tutti i ricchi perché ha dato tutto quello che aveva, privandosi anche del necessario alla vita. Fa notare agli apostoli, ancora lontani dalle massime del discorso della montagna e così ammagliati dall’apparenza, il valore del dono fatto a Dio con retta coscienza e piena disposizione a privarsi di quanto ci è caro o necessario. Anche per noi del terzo millennio il fatto suona come una lezione quanto mai urgente. Siamo così pronti ad ammirare e magari invidiare chi riesce ad aprirsi la strada nel mondo dello spettacolo, della politica, del successo, del benessere… da dimenticare tanti atti di eroismo compiuti nel segreto, a volte nelle famiglie dove la presenza di malati, di disabili, di anziani richiede ogni giorno una disponibilità eroica. Vi ricordate la storia di Samuele? Dio richiama a questa realtà anche la sua storia, quando è in casa di Jesse per ungere il futuro re d’Israele al posto di Saul: Gli uomini guardano l’apparenza, io invece guardo il cuore, gli disse. Sarei contento se questo brano del vangelo desse coraggio e voce a chi appunto nel segreto compie il suo dovere con amore e piena dedizione. Annoverati nel numero dei salvati, seguiranno l’Agnello nell’esultanza indicibile. Vissuti nell’umiltà e nel servizio dei fratelli, sulla loro bocca non si è trovata menzogna ma solo sincerità e benevolenza. Buona giornata
Domenica 24 novembre 2024, Solennità di nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 18,33b-37
Tu lo dici: io sono re.
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi
dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di
quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è
dalla verità, ascolta la mia voce».
Parola del Signore.
Tutta la nostra storia è indelebilmente
segnata dall’evento Cristo. Tutta la nostra liturgia tende come ad un approdo, ad un culmine, alla scoperta e alla solenne proclamazione della sovranità e regalità del nostro Salvatore e Signore.
Così ogni anno concludiamo ed iniziamo l’anno liturgico, Ciò che era stato preannunciato con accenti apocalittici come un personaggio misterioso a lungo atteso e vagheggiato, ora è presente e
vivo: ha conquistato il suo trono
regale umiliandosi nella carne, scalando un monte e immolandosi per noi sul patibolo della croce. È la conquista del crocifisso, è la nostra redenzione. Egli
aveva affermato che il suo regno non è come quelli del nostro mondo ed infatti egli non ha conquistato poteri umani, non si è dotato di potenza, ma ha conquistato il mondo ed ha affascinato tutti
noi a prezzo della sua stessa vita. Una conquista scaturita soltanto dall’amore, dalla misericordia, dalla piena riconciliazione. Alla domanda di Pilato: «sei tu re?» Gesù risponde: «Tu lo dici;
io sono re». Egli è il testimone della verità perché è venuto a cancellare la menzogna che ci ha indotto al peccato. Egli è la Voce che ristabilisce il nostro dialogo con Dio dopo averlo
interrotto dopo il primo peccato; ora lo invochiamo chiamandolo Padre. Egli è la via che ci riconduce alla casa paterna dopo il nostro vagabondare nei pascoli immondi. Egli è il re della pace e
il Signore dei risorti. La nostra sudditanza è scandita dalla libera e gioiosa adesione al suo vangelo, da una incondizionata fedeltà, da una continua e crescente comunione con lui. Dobbiamo
soltanto tendere l’orecchio dell’anima alla sua voce, ai suoi preziosi insegnamenti. Questa è la via per affermare la sua regalità e per espandere e far crescere il suo regno. Ci vuole come
testimoni anche quando siamo chiamati a pagarne il prezzo, anche quando ci potrebbe costare la vita. I martiri non si sono assoggettati alle angherie dei potenti e prepotenti del mondo per
proclamare l’indiscutibile primato di Cristo, la sua divina sovranità. Buona Domenica
Sabato 23 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 20,27-40
Dio non è dei morti, ma dei viventi.
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno
che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e
sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né
marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito
del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Parola del Signore.
Torna il tema della risurrezione dei morti, argomento sollecitato dai sadducei i quali negano che ci sia una risurrezione dopo la morte. Adducono un argomento da un fatto accaduto o sicuramente possibile. È il caso di una vedova senza figli che, in successione, prima di morire, diventa moglie di sette fratelli senza lasciare prole. La prassi tra l’altro era stata prescritta da Mosè. «Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie?». Ecco la domanda insidiosa che rivolgono a Gesù, convinti di averlo messo in serie difficoltà. La risposta del Maestro è davvero illuminante per noi: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito». Gesù ci lascia intravedere una realtà completamente diversa da quella che viviamo in questo mondo. Dopo la nostra morte, se giudicati degni della risurrezione, diventiamo Figli di Dio, come gli angeli, vivi nello spirito e in intima comunione tra noi nell’unico amore che tutti attrae e unisce. Possiamo quindi dedurre che, pur non annullando quegli affetti e vincoli umani che ci hanno legato quaggiù, in cielo vivremo la pienezza dell’amore e la pienezza non ammette differenze e gradi. Per i sadducei Gesù aggiunge una argomentazione biblica che sarebbe dovuta risultare molto efficace per loro: «Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui». Per noi cristiani l’argomento definitivo, fondamentale per la nostra fede è legato alla risurrezione di Cristo. San Paolo così ci illumina: «Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini». Risuona in noi come voce potente e suadente il grido pasquale di Cristo: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. Buona giornata
Venerdì 22 novembre 2024, Memoria di Santa Cecilia, Patrona della musica
Santa Cecilia
Onorata a Roma come vergine e martire a partire dal V secolo, come testimonia la basilica di Trastevere che porta il suo nome. Il racconto leggendario del suo martirio è un poema che esalta la verginità cristiana. Nel XV secolo, la santa è stata scelta come Patrona dei musicisti a causa di una frase della sua Passione: "Mentre si udivano suonare gli strumenti musicali per le sue nozze, Cecilia cantava nel suo cuore per il Signore".
Santa Cecilia! Prega per noi.
+ Dal Vangelo secondo Luca 19,45-48
Avete fatto della casa di Dio un covo di ladri.
In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.
Parola del Signore.
Quando Gesù ha posato il suo sguardo sulla città di Gerusalemme ed è scoppiato in pianto, probabilmente aveva sotto i suoi occhi anche la visione del tempio e degli atti sacrileghi che ivi si compivano impunemente. «Lo zelo per la tua casa mi divora»: lo zelo per il Signore, che è dettato dall’amore e dalla giustizia, esplode in giusta ira contro i profanatori della casa del Signore. Gesù subiva con santa pazienza le continue insidie ed i frequenti insulti dei suoi nemici, che tramavano contro la sua persona, ma non può sopportare la violazione continuata e sacrilega della maestà divina. Ecco perché si munisce di una cordicella e scaccia i venditori dal tempio. Per poi ribadire: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!». Gesù si riappropria del tempio e vi entra da vero Signore e Maestro: «Gesù ogni giorno insegnava nel tempio» nonostante che i sommi sacerdoti e gli scribi, in combutta con i notabili del popolo, cercavano di farlo morire. Quante volte i «sommi» di altri tempi e coloro che sono posti in autorità, con identiche minacce, hanno cercato di far tacere la verità, di ammutolire i portatori del Vangelo! È accaduto sin dai primordi della Chiesa ma accade anche oggi. La risposta è stata ed è ancora sostanzialmente sempre la stessa: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Quante volte le chiese sono state trasformate in vere e proprie spelonche di ladri. Quante ancora sono chiuse e dissacrate! Quante volte, anche ai nostri giorni, nella casa del Signore si compiono furti e atti sacrileghi! «La mia casa sia casa di preghiera…» Buona giornata
Giovedì 21 novembre 2024
+ Dal Vangelo secondo Luca 19,41-44
Se avessi compreso quello che porta alla pace!
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Parola del Signore.
Alcune opere degli uomini sono espressamente volute da Dio stesso. Allora il cielo diventa pienamente partecipe dei significati che quelle realtà si annettono. Gerusalemme, con il suo maestoso tempio, era considerata la città di Dio, il luogo dove egli aveva fissato la sua dimora. Gli abitanti di quella città godevano di un grande privilegio e avrebbero dovuto con il loro comportamento rendere un culto particolare al Signore. Avrebbero dovuto testimoniare quella alleanza che Dio aveva stipulato con il suo popolo. Invece Gesù è testimone di un vero sfacelo religioso e morale che stava raggiungendo il suo culmine con il rifiuto e la condanna dello stesso Cristo, non riconosciuto come l’Inviato del Padre, il Messia. Gli autori principali di questa situazione erano proprio i capi religiosi del tempo, scribi e farisei, che insidiavano per invidia la vita del Cristo. Egli «alla vista della città pianse su di essa». È sicuramente un pianto di dolore quello di Gesù. La sua «vista» valica il tempo, egli vede il presente e il futuro di quella città e dei suoi abitanti: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace». Parla della pace messianica tanto vagheggiata ed ora incompresa. Non può fare a meno di anticipare con accenti profetici il triste futuro che è stato riservato a quella città ingrata: «Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra». Sono chiare le motivazioni che Gesù scandisce: non hanno compreso la via della pace e non hanno riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata. Ora quel rimprovero, motivo di pianto per Cristo, è rivolto a tutta l’umanità, a ciascuno di noi e alla sua Chiesa. Dopo secoli ancora non abbiamo compreso la via della pace nonostante la redenzione; non abbiamo compreso appieno il tempo e i tempi in cui siamo visitati da Dio e dal suo Unigenito. Ci sono ancora i motivi di pianto per Cristo, è ancora accorato il suo lamento. «Se tu conoscessi il dono di Dio», credo siano queste le parole che Cristo ci sta rivolgendo. Attende la tua e la mia risposta. Buona giornata
Mercoledì 20 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,11-28
Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro.
Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d'oro, dicendo:
"Fatele fruttare fino al mio ritorno". Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: "Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi". Dopo aver ricevuto il
titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato.
Si presentò il primo e disse: "Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate dieci". Gli disse: "Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città". Poi
si presentò il secondo e disse: "Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate cinque". Anche a questo disse: "Tu pure sarai a capo di cinque città".
Venne poi anche un altro e disse: "Signore, ecco la tua moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in
deposito e mieti quello che non hai seminato". Gli rispose: "Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e
mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi". Disse poi ai presenti: "Toglietegli la moneta
d'oro e datela a colui che ne ha dieci". Gli risposero: "Signore, ne ha già dieci!". "Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che
non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me"».
Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Parola del Signore.
Non è difficile ravvisare in questo uomo di nobile stirpe che parte per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi tornare, lo stesso Cristo. Domenica prossima, a conclusione dell’anno liturgico, celebreremo Cristo, Re dell’universo! La parabola delle mine o monete ci esorta ancora una volta, più che a smaniare di vana curiosità per le future manifestazioni, a far tesoro dei beni che il Signore gratuitamente ci ha dato e a perseverare nella fedeltà e nella vigilanza. Abbiamo una triste storia alle spalle: con il nostro peccato abbiamo lanciato un grido blasfemo contro il nostro Re e Signore: «Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi». È stata ed è la radice di ogni male, la premessa della peggiore infedeltà e la manifestazione della più assurda infedeltà. Ribellarsi a chi tutto ci dona soltanto per amore e per la nostra migliore felicità, è il peccato nella sua infima espressione. La vita stessa, il primo dono, la nostra intelligenza e la nostra volontà che ci rendono somiglianti a Dio, ci devono servire per moltiplicare ed accrescere quei doni, dando così lode a Colui che è la fonte del bene e la felicità piena vuole donarci come premio alla nostra fedeltà. Non importa valutare quanti talenti abbiamo ricevuto. Saremmo giudicati secondo giustizia e con misericordia, ma non potremmo accampare scuse. Tutti siamo in grado di raggiungere la santità, di impiegare al meglio quanto abbiamo ricevuto. Leggendo le vite dei santi ci accorgiamo che spesso quei nostri fratelli non erano particolarmente dotati, molti di loro forse avevano soltanto una mina… Eppure con eroica fortezza hanno saputo moltiplicarla e ricevere per questo il premio e la gloria. Troppo spesso ci capita di rassegnarci alla mediocrità, immemori delle dure parole del Signore: «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». Chiediamo oggi al Signore di poter riconoscere in noi i doni ricevuti e farli moltiplicare per poter ricavarne il cento per uno. Buona giornata
Martedì 19 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 19,1-10
Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a
causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti
mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Parola del Signore.
Ecco un altro piccolo uomo che cerca Gesù! Lo cerca tra la folla, ma la sua statura non gli consente di vedere. Deve correre avanti e salire per vedere. Occorre staccarsi da terra ed elevarsi verso l’alto per vedere. Occorre essere disposti a lasciare tutto per seguire Cristo e Zaccheo era ricco, molto ricco! Egli era convinto, come spesso capita, di poter essere lui il protagonista di quella ricerca e di quel desiderato incontro. Capita esattamente il contrario: noi muoviamo i prima passi, poi è il Signore che alza lo sguardo verso di noi per darci anche quello che non osiamo sperare: «Gesù alzò lo sguardo». Questo sguardo del Signore ci riconduce ad un altro episodio del Vangelo, quello del giovane ricco che dichiara di aver sempre osservato i comandamenti. Dopo questa dichiarazione l’evangelista ci dice che Gesù «fissatolo lo amò». È proprio vero quando Gesù ci guarda ci ama e opera prodigi per noi. Zaccheo, sorpreso da tanta inattesa benevolenza, accoglie con gioia il Signore nella sua casa, lo accoglie come salvatore e redentore. Infatti ci fa ascoltare la sua umile e sincera confessione, accompagnata dal proposito di riparare adeguatamente al male fatto: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». È essenziale e completa la formula assolutoria che Gesù proferisce: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa». Per fugare poi le solite accuse: «È andato ad alloggiare da un peccatore!», ribadisce che «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Questa è la missione che Cristo affiderà poi ai suoi e alla sua Chiesa. Buona giornata
Lunedì 18 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 18,35-43
Che cosa vuoi che io faccia per te? Signore, che io veda di nuovo!
Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà
di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse:
«Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
Parola del Signore.
“Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Il Signore ci passa accanto, bussa alla porta del nostro spirito, rischiamo di non accorgerci di Lui e di perdere l’occasione di un incontro che potrebbe anche risultare definitivo per noi. Non manca mai qualcuno che, se ci trova interessati, ci avverte della sua presenza, anche se siamo ciechi. Il Signore si fa trovare da chi lo cerca. Il cieco del Vangelo, era tutt’altro che rassegnato alla sua condizione, infatti informato del passaggio del Signore, fa esplodere la sua accorata preghiera: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me”. È troppo urgente la sua richiesta e davvero unica l’occasione che gli si presentava, per cui benché invitato a tacere da alcuni zelanti del seguito, egli grida con maggiore forza e ripete ancora la sua ardente preghiera. Quel Gesù che passa, si arresta quando sente il grido della nostra preghiera e anche se ci trova non vedenti, chiede che qualcuno ci conduca da Lui. Ora il cieco non ha più bisogno di gridare, il Signore è lì, ne avverte la presenza e la forza e può finalmente esplicitargli la sua richiesta. “Signore, che io veda di nuovo”. Chiede di riavere qualcosa di prezioso che ha perso. La risposta di Gesù non si fa attendere: “Abbi di nuovo la vista. La tua fede ti ha salvato”. Ora il suo non è più un vagare incerto, un procedere a tentoni. La sua preghiera assume la caratteristica della gratitudine e della lode, si pone quindi alla sequela di Cristo e già adempie lodevolmente la sua missione, coinvolgendo nella lode a Dio tutti gli astanti. È avvenuto un doppio miracolo: un cieco ha recuperato la vista degli occhi, la sua anima si è illuminata nella fede. Accade sempre così quando incontriamo Cristo e l’invochiamo con fervore. Buona giornata
Domenica 17 novembre 2024, XXXIII° del Tempo Ordinario
Dal Vangelo secondo Marco Mc 13,24-32
Il Figlio dell'uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino
all'estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose,
sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Parola del Signore.
Siamo pellegrini in questo mondo. Desideriamo nella fede e nella speranza i beni futuri. Crediamo nella risurrezione e siamo convinti di essere stati dotati d’immortalità. La nostra vera patria non è il cielo. Tutto ciò che ci circonda, ci affascina, ci preoccupa è destinato a finire. Tutto (scorre) passa, dicevano i filosofi greci. La stessa terra che ci ospita avrà un termine. S. Pietro parla nella sua lettera di cieli nuovi e terra nuova. È in questa prospettiva che dobbiamo leggere la Scrittura di questa domenica. L’anno liturgico volge ormai al termine e questa tappa importante per noi credenti in Cristo ci serve da una parte per riflettere sulla fugacità e sull’importanza del tempo, da vivere come dono di Dio, e dall’altra sul nostro destino eterno. È significativo che in coincidenza degli sconvolgimenti terrestri e astrali ci sia annunciata la seconda venuta del Signore Gesù che radunerà le genti da ogni parte. Ciò ci deve convincere che i progetti e le opere di Dio hanno sempre e soltanto una finalità di salvezza per le sue creature. Egli non vuole spaventarci preannunciandoci catastrofi e sconvolgimenti naturali; vuole piuttosto renderci attenti e vigilanti. Siamo ignari del futuro, ma fiduciosi in Dio che è Padre, in Cristo che ci ha resi perfetti con il suo unico e perfetto sacrificio. Nella nostra chiesa quindi non possono trovare spazio i profeti di sciagure, ma soltanto gli annunciatori della speranza e coloro che credono nell’amore misericordioso di Dio. La nostra religiosità non può e non deve cercare motivazioni da paure e fobie, ma solo dalla fede e dall’amore. Diversamente daremmo credito a coloro che affermano che la religione è l’oppio dei popoli, noi invece affermiamo che è la via della salvezza, il nostro quotidiano specchiarci in Dio per conoscerlo, per conoscerci, per comprendere il valore della vita presente e ancor più quello della vita futura. Buona Domenica
Sabato 16 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,1-8
Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio
avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga
continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io
vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore.
Il vangelo ci racconta che Gesù trascorreva intere notti in preghiera. Gli apostoli, nel desiderio di imitarlo, un giorno gli chiesero: “Signore, insegnaci a pregare”. Gesù insegnò loro il Padre Nostro, che è diventata anche la nostra preghiera principale. Lo stesso tema della preghiera ricorre poi più volte in diverse pagine della scrittura sacra. Del resto il bisogno di elevare lo spirito a Dio è innato nell’uomo. Sgorga da quella somiglianza che abbiamo con il nostro creatore e Dio, che indissolubilmente ci lega a Lui. Sgorga dalla umile e vera constatazione della nostra situazione di indigenza e dalla fede che riponiamo nel nostro Signore, da cui ci attendiamo quegli aiuti e quella grazie indispensabili alla nostra crescita spirituale e umana. Oggi Gesù ci raccomanda non solo di pregare, ma di “pregare sempre, senza stancarsi”. Solo se instauriamo un rapporto intimo di comunione con Dio arriveremo alla preghiera continua. L’alimento principale della preghiera è infatti l’amore, che lo stesso Signore riversa nei nostri cuori, dandoci la consapevolezza di essere amati da Lui e resi capaci di riamarlo con lo stesso amore. Amore e fede si fondono nell’orazione. Con questi vincoli è facile non dimenticarlo mai ed orientare tutta la vita verso di lui. San Paolo raccomanda ai Corinti: “Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio”. Ecco come diventa possibile la preghiera continua; è l’orientamento della vita, è il pensiero costantemente rivolto al Signore. Non può subentrare la stanchezza perché si gode nello stare con Dio, che ci infonde coraggio e sicurezze che nessuno è in grado di garantirsi da solo. Il salmista canta: “Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio”. È stato scritto che la preghiera è il respiro dell’anima, il tentativo migliore possibile di percepire e far sentire a Dio la sua presenza in noi. Una presenza paterna, affabile e confortante. Non dovremmo però cadere, come spesso accade, nell’errore di confondere il nostro intimo rapporto con Dio, come la sottoscrizione di una polizza assicurativa totale: egli ci ascolta, ma ci dona, nella sua infinita sapienza, non sempre ciò che chiediamo, ma ciò che più giova alla nostra salvezza. Buona giornata
Domenica 10 novembre 2024, XXXII° del Tempo Ordinario
Dal Vangelo secondo Marco Mc 12,38-44
Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.
In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle
sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro
superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Parola del Signore.
Gesù contrappone qui due tipi di comportamento religioso. Il primo è quello degli scribi
pretenziosi che si pavoneggiano ed usano la religione per farsi valere. Gesù riprende questo atteggiamento e lo condanna senza alcuna pietà. Il secondo comportamento è invece quello della vedova
povera che, agli occhi degli uomini, compie un gesto irrisorio, ma, per lei, carico di conseguenze, in quanto si priva di ciò di cui ha assolutamente bisogno. Gesù loda questo atteggiamento e lo
indica come esempio ai suoi discepoli per la sua impressionante autenticità. Non è quanto gli uomini notano che ha valore agli occhi di Dio, perché Dio non giudica dall’apparenza, ma guarda il
cuore (1Sam 16,7). Gesù vuole che guardiamo in noi stessi. La salvezza non è una questione di successo, e ancor meno di parvenze. La salvezza esige che l’uomo conformi le azioni alle sue
convinzioni. In tutto ciò che fa, specialmente nella sua vita religiosa, l’uomo dovrebbe sempre stare attento a non prendersi gioco di Dio. Scrive san Paolo: “Non vi fate illusioni; non ci si può
prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato” (Gal 6,7).
Il Signore chiede che si abbia un cuore puro, una fede autentica, una fiducia totale. Questa donna non ha nulla. È vedova, e dunque senza appoggio e senza risorse. È povera, senza entrate e senza
garanzie. Eppure dà quello che le sarebbe necessario per vivere, affidandosi a Dio per non morire. Quando la fede arriva a tal punto, il cuore di Cristo si commuove, poiché sa che Dio è amato, e
amato per sé stesso. L’avvenire della Chiesa, il nostro avvenire, per i quali le apparenze contano tanto, è nelle mani di questi veri credenti. Buona Domenica
Sabato 9 novembre 2024, Festa della Dedicazione della Basilica Lateranense
La voce dei Pastori
"Vuoi trovare una basilica tutta splendente? Non macchiare la tua anima con le sozzure del peccato. Se tu vuoi che la basilica sia piena di luce, ricordati che anche Dio vuole che nella tua anima
non vi siano tenebre. Fa' piuttosto in modo che in essa, come dice il Signore, risplenda la luce delle opere buone, perché sia glorificato colui che sta nei cieli. Come tu entri in questa chiesa,
così Dio vuole entrare nella tua anima".
Dai "Discorsi" di San Cesario di Arles, vescovo, Disc. 229
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 2,13-22
Parlava del tempio del suo corpo.
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero
allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Parola del Signore.
Quando l’imperatore romano Costantino si convertì alla religione cristiana, verso il 312, donò al papa Milziade il
palazzo del Laterano, che egli aveva fatto costruire sul Celio per sua moglie Fausta. Verso il 320, vi aggiunse una chiesa, la chiesa del Laterano, la prima, per data e per dignità, di tutte le
chiese d’Occidente. Essa è ritenuta madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe.
Consacrata dal papa Silvestro il 9 novembre 324, col nome di basilica del Santo Salvatore, essa fu la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata. Nel corso del XII secolo, per
via del suo battistero, che è il più antico di Roma, fu dedicata a san Giovanni Battista; donde la sua corrente denominazione di basilica di San Giovanni in Laterano. Per più di dieci secoli, i
papi ebbero la loro residenza nelle sue vicinanze e fra le sue mura si tennero duecentocinquanta concili, di cui cinque ecumenici. Semidistrutta dagli incendi, dalle guerre e dall’abbandono,
venne ricostruita sotto il pontificato di Benedetto XIII e venne di nuovo consacrata nel 1726.
Basilica e cattedrale di Roma, la prima di tutte le chiese del mondo, essa è il primo segno esteriore e sensibile della vittoria della fede cristiana sul paganesimo occidentale. Durante l’era
delle persecuzioni, che si estende ai primi tre secoli della storia della Chiesa, ogni manifestazione di fede si rivelava pericolosa e perciò i cristiani non potevano celebrare il loro Dio
apertamente. Per tutti i cristiani reduci dalle “catacombe”, la basilica del Laterano fu il luogo dove potevano finalmente adorare e celebrare pubblicamente Cristo Salvatore. Quell’edificio di
pietre, costruito per onorare il Salvatore del mondo, era il simbolo della vittoria, fino ad allora nascosta, della testimonianza dei numerosi martiri. Segno tangibile del tempio spirituale che è
il cuore del cristiano, esorta a rendere gloria a colui che si è fatto carne e che, morto e risorto, vive nell’eternità” Buona giornata
Venerdì 8 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,1-8
I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione,
perché non potrai più amministrare".
L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò
stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua".
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e
scrivi cinquanta". Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
Parola del Signore.
Il Signore Gesù, pur di rendere comprensibili i suoi messaggi di salvezza, ricorre anche al paradosso. Nel vangelo di oggi viene lodata l’astuzia di un autentico imbroglione, che, vistosi scoperto della sua infedeltà verso il proprio padrone e prossimo ad un licenziamento dal suo incarico, cerca, con abilità e scaltrezza, di accaparrarsi la benevolenza dei creditori, per poi sperare di godere della loro protezione. È fin troppo evidente che il Signore non vuole che imitiamo l’astuzia e ancor meno la disonestà dell’amministratore infedele. Vuole invece che, come figli della luce, ci adoperiamo alacremente, da veri sapienti, per conseguire i beni migliori che lo stesso Signore vuole donarci. Egli ci ha avvertiti che “stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita”. Per passare per una porta stretta occorre chinarsi e farsi piccoli, diventare umili. Per poter percorrere una strada angusta occorre abilità, destrezza e prudenza. Ecco allora le virtù e la sapienza che Gesù vuole siano praticate dai suoi seguaci. “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”. La violenza praticabile dal cristiano è il diuturno sacrificio con cui affronta gli ostacoli della vita, è l’abbraccio volontario della propria croce, è la salita faticosa verso il monte dei risorti. Abbiamo il conforto dello Spirito Santo di Dio che ci illumina e ci fortifica, ci rende astuti e sapienti, coraggiosi ed intrepidi. Se tanta pusillanimità ancora serpeggia nel mondo dei cristiani, dipende dalla mancanza di fede e di fiducia nel Signore, dalla mancanza di preghiera e dalla perenne tentazione dell’autosufficienza. Tutto ciò ci rende deboli e paurosi, rischia di riportare la Chiesa nel buio delle catacombe e soprattutto di subire passivamente tutte le angherie o cadere nei facili compromessi con il mondo. Forse è ancora vero che: “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Buona giornata
Giovedì 7 novembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca Lc 15,1-10
Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte.
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha
trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi
dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e
dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Parola del Signore.
Non è facile oggi riconoscere la necessità di convertirsi. L’educazione e la catechesi ce ne danno una prova. Bisogna essere soddisfatti delle proprie azioni e non rimettere in questione né se stessi né gli altri. Perché far sprofondare l’uomo nel dubbio di sé, dal momento che porta già il pesante fardello della vita? Fa male riconoscersi peccatore, rompere con il proprio passato e ripartire in direzione opposta. Far sì che il fedele riconosca i propri sbagli non è più l’interesse prioritario dei pastori della Chiesa. Nel migliore dei casi, l’invito alla conversione viene lanciato indirettamente, poiché i pastori temono che le chiese vengano disertate ancora di più. Anche nella nostra vita privata, spesso, chiudiamo gli occhi di fronte agli sbagli dei fratelli, perché non vogliamo rischiare di perderli. L’illusione della non colpevolezza imprigiona anche i cristiani. Ma l’approvare o lo scusare va contro tutta la tradizione biblica, a cominciare dai profeti dell’Antico Testamento fino alla predicazione dell’ultimo apostolo. Ma non è tutto: tale tendenza pastorale non ha un sostegno spirituale realistico né un fondamento nella catechesi. È raro che l’uomo sia felice come quando risponde all’invito alla conversione. “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Che cosa potrebbe darci una gioia più profonda del ritorno al Padre che ci ama, che già ci attende e ci offre il suo perdono senza nulla chiederci in cambio? Se il senso del peccato e della conversione tende a scomparire del tutto dai messaggi pastorali, bisogna cercarne la ragione nella società che ci circonda, che si è allontanata da Dio. Solo chi è toccato dalla maestà e dalla santità di Dio prende coscienza del peccato, in se stesso e negli altri. La conversione diventa allora la sua parola chiave non soltanto perché essa concede agli uomini di pregustare la felicità eterna, ma perché allora Dio esulta di gioia. Quando Gesù parla del “cielo” (Lc 15,7), allude in realtà a Dio. E nella corte celeste (Lc 15,10) si effonde una gioia di cui molti cristiani non sanno conoscere l’intensità e la profondità. Questo brano di Vangelo è davvero una Buona Novella. Chi non se ne dimentica, non può mai perdere la speranza, in qualunque situazione si trovi. E tale Buona Novella esorterà gli uomini a seguire maggiormente Gesù per annunciare alle pecore smarrite la misericordia del Padre affinché Dio ne abbia gioia. Buona giornata